Le Foibe - Dalle Origini ai Fatti

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  1. Vidkun Quisling
     
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    Con massacri delle foibe, o più comunemente foibe, si intendono gli eccidi perpetrati per motivi etnici e/o politici ai danni della popolazione italiana di Istria, Venezia Giulia e Dalmazia, durante ed immediatamente dopo la Seconda guerra mondiale, per lo più compiuti dall' Esercito popolare di liberazione iugoslavo. Negli eccidi furono coinvolti prevalentemente cittadini di etnia italiana e, in misura minore e con diverse motivazioni, anche cittadini italiani di etnia slovena e croata.

    Il nome deriva dagli inghiottitoi di natura naturale carsica dove furono gettati e, successivamente, rinvenuti i cadaveri di centinaia di vittime, localmente chiamati appunto "foibe". Per estensione i termini "foibe" ed il neologismo "infoibare" sono in seguito diventati sinonimi degli eccidi, che in realtà furono, in massima parte, perpetrati in modo diverso.

    Nonostante la ricerca accademica abbia, fin dagli anni '90, sufficientemente chiarito gli avvenimenti, nell'opinione pubblica italiana la conoscenza del tema delle foibe continua a essere influenzata da tesi di parte, che pongono l'enfasi sulle responsabilità che comunismo e fascismo hanno avuto nella vicenda.

    Gli eccidi delle Foibe ed il successivo esodo costituiscono l'epilogo di una secolare lotta per il predominio sull'Adriatico orientale, che fu conteso da popolazioni slave (prevalentemente croate e slovene, ma anche serbe) e italiane.

    Tale lotta si inserisce all'interno di un fenomeno più ampio e che fu legato all'affermarsi degli Stati nazionali in territori etnicamente misti. Le realtà plurilinguistiche e multiculturali esistenti in buona parte dell'Europa centrale, sud-orientale e nel vicino oriente ne uscirono in grande parte distrutte. Furono decine di milioni le persone coinvolte nei conseguenti processi di assimilazione od emigrazione forzata, che provocarono milioni di vittime. Fra gli episodi più noti si ricordano il Genocidio Armeno, il drammatico scambio di popolazioni tra Grecia e Turchia e l'esodo dei tedeschi dall'Europa orientale.

    Le radici di questo fenomeno vanno ricercate nella fine dell'ancien régime, un sistema dove gli Stati erano il risultato delle lotte di potere delle classi dominanti (monarchie o, in qualche caso, oligarchie). Con la rivoluzione francese e la conseguente delegittimazione del potere monarchico, gli Stati trovarono la loro legittimità nel concetto di popolo, inteso come una comunità cementata da una comunanza di razza, religione, lingua, cultura ed avente quindi il diritto a formare il proprio Stato. Man mano che le singole popolazioni si identificavano in specifiche nazioni (che inizialmente - in molti casi - erano indefinite e controverse), si vennero a creare diverse occasioni di conflitto. Ad esempio quando una nazione rivendicava territori abitati da propri connazionali e posti al di fuori dei confini del proprio Stato. Oppure quando specifiche minoranze etniche cercavano la secessione da uno Stato, sia per formare una nazione indipendente, sia per unirsi a quella che consideravano la nazione madre. Una terza fonte di conflitto fu provocata dal tentativo, da parte di molte nazioni, di assimilare od espellere le minoranze etniche dal proprio Stato, considerandole realtà estranee o un pericolo per la propria integrità territoriale.

    Prima del XIX secolo, in Venezia Giulia e Dalmazia, avevano convissuto popolazioni di lingua romanza e slava, che non avevano fra di loro tensioni dovute ad ancor inesistenti concetti di nazionalità (le diverse etnie, viceversa, erano in larga misura mischiate). Vi era una differenza di carattere linguistico - culturale fra la società urbana e marittima (prevalentemente romanzo-italica) e quella rurale e montana (per lo più slava o slavizzata). Nell'entroterra montano erano presenti inoltre comunità morlacche di origine illiro - romana che si slavizzarono progressivamente. Le classi elevate (aristocrazia e borghesia) erano dovunque di lingua e cultura italiana, anche se di origine slava.

    Con la Primavera dei Popoli del 1848-49, anche nell'Adriatico orientale, il sentimento di appartenenza nazionale cessò di essere una prerogativa delle classi elevate e cominciò, gradualmente, a estendersi alla masse. Fu solo a partire da tale anno che il termine "italiano" (ad esempio) cessò di essere una mera espressione di appartenenza geografica o culturale e cominciò ad implicare l'appartenenza a una "nazione" italiana. Il processo di identificazione in specifiche nazioni in queste terre, non fu lineare e l'esito non fu affatto scontato. In Istria in un primo tempo non si faceva distinzione fra sloveni e croati, visti come un singolo popolo. In Dalmazia inizialmente si inseguì l'ideale di una nazione dalmata, che racchiudeva in se radici slave e romanze: fu solo a seguito dell'insorgere del nazionalismo croato che i propugnatori di tale ideale adottarono col tempo una politica filo italiana.

    « Nessuna gioia, solo dolore e pianto, dà l'appartenere al partito italiano in Dalmazia. A noi, italiani della Dalmazia, non rimane che un solo diritto, quello di soffrire. »
    (Antonio Bajamonti, Discorso inaugurale della Società Politica Dalmata, Spalato 1886)


    Alla fine del processo si definirono le moderne identità nazionali: italiani, sloveni, croati e serbi. Si originò di conseguenza quella contrapposizione etnica che fu la causa remota dei massacri delle foibe. È bene ricordare che simili tensioni sono caratteristiche di diverse zone ad etnia mista e ancor oggi possono sfociare in episodi violenti (come in Irlanda del Nord, nei Paesi Baschi o nell' ex - Jugoslavia). Il sorgere dell' irredentismo italiano portò il governo asburgico a favorire il nascente nazionalismo di sloveni e croati, nazionalità ritenute più leali ed affidabili rispetto agli italiani. Si intendeva così contrastare non solo le ben organizzate comunità cittadine italiane ma anche l'espansionismo serbo, che mirava ad unificare tutti gli slavi del sud. Di conseguenza in Dalmazia si verificò una costante diminuzione della popolazione italiana, in un contesto di repressione e violenza. Nella Venezia Giulia il decremento della componente italiana fu molto più contenuto.

    Le tensioni fra le diverse nazionalità, pertanto, già presenti sotto la dominazione austriaca, non trassero la propria origine dall'avvento delle politiche nazionalistiche e di repressione dell'elemento slavo applicate del fascismo, anche se il fascismo acuì i contrasti fino alla degenerazione della situazione.

    Nell'ambito dei succitati conflitti nazionali nacque fra i croati l'idea che Istria, Fiume e Dalmazia fossero parte integrante del loro territorio nazionale fin dall'alto medioevo. Non si riconosceva la presenza di comunità italiane autoctone né in Dalmazia, né a Fiume (e solo parzialmente in Istria). Tali comunità venivano considerate una realtà estranea (come i pieds noirs in Algeria e i russi nelle Repubbliche Baltiche e in Moldavia), frutto di "invasioni straniere" che avevano italianizzato parte della popolazione croata originaria. Gli italiani "veri" dovevano quindi essere espulsi, mentre i "croati italianizzati" dovevano essere riportati alla loro condizione originaria, anche prescindendo dalla loro volontà. Questa retorica nazionalista fornì una giustificazione morale agli avvenimenti.

    Nel 1915 l'Italia entrò nella Grande Guerra a fianco della Triplice Intesa, in base ai termini del Patto di Londra, che le assicuravano il possesso dell'intera Venezia Giulia e della Dalmazia settentrionale - incluse molte isole. La città di Fiume, invece, veniva espressamente assegnata quale principale sbocco marittimo di un eventuale futuro stato croato o dell'Ungheria, se la Croazia avesse continuato ad essere un banato dello stato magiaro o della Duplice Monarchia.

    Al termine delle guerra, coi trattati di Saint Germain e di Rapallo l'Italia ottenne solo parte di ciò che le era stato promesso: le fu infatti negata la Dalmazia (dove ottenne solo la città di Zara e alcune isole).

    Rimase aperta la questione di Fiume, che fu rivendicata dall'Italia sulla base dello stesso principio di autodeterminazione che aveva fatto assegnare al regno iugoslavo le terre dalmate, già promesse all'Italia. Al termine di una lunga contesa, Fiume fu annessa all'Italia nel 1924.

    I territori annessi erano abitati da consistenti minoranze slave (slovene e croate), i cui diritti fondamentali, pur con alcune limitazioni, furono rispettati dal Regno d'Italia. Si verificarono, tuttavia, incidenti provocati da gruppi nazionalisti e dal nascente fascismo, che proprio in Venezia Giulia condusse alcune delle sue azioni più violente (il cosiddetto "fascismo di frontiera").

    « Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. [ I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani »
    (Benito Mussolini, discorso tenuto a Pola il 24 settembre 1920)

    La situazione degli slavi si deteriorò con l'avvento al potere del fascismo, nel 1922. Fu gradualmente introdotta in tutta Italia una politica di assimilazione delle minoranze etniche e nazionali, che comportò l'italianizzazione di nomi e toponimi, la chiusura delle scuole slovene e croate, il divieto dell'uso della lingua straniera in pubblico, ecc. Simili politiche di assimilazione forzata erano all'epoca assai comuni, ed erano applicate, fra gli altri, anche da paesi democratici (come Francia e Regno Unito). Da notare che furono adottate dalla stessa Jugoslavia. Tuttavia la politica di "bonifica etnica" avviata dal fascismo è stata considerata particolarmente pesante, anche perché l'intolleranza nazionale, talora venata di vero e proprio razzismo, si accompagnava alle misure totalitarie del regime.

    L'azione del governo fascista annullò l'autonomia culturale e linguistica di cui le popolazioni slave avevano ampiamente goduto durante la dominazione asburgica e esasperò i sentimenti di inimicizia nei confronti dell'Italia.

    Le società segrete irredentiste slave, preesistenti allo scoppio della Grande Guerra, si fusero in gruppi più grandi, a carattere nazionalista e comunista, come la Borba e il TIGR, che si resero responsabili di numerosi attacchi a militari, civili e infrastrutture italiane. Alcuni elementi di queste società segrete furono catturati dalla polizia italiana e condannati a morte dal tribunale speciale per terrorismo dinamitardo.

    Nell'aprile del 1941 l'Italia partecipò all'attacco dell'Asse contro la Iugoslavia. La Iugoslavia fu smembrata e parte dei suoi territori furono annessi dagli stati invasori. Col trattato di Roma l'Italia annesse una gran parte della Slovenia, la Dalmazia settentrionale e le Bocche di Cattaro. Inoltre occupò tutta la fascia costiera della ex-Iugoslavia, con un ampio entroterra.

    In Slovenia fu costituita la provincia di Lubiana, dove, a fini politici ed in contrapposizione con i tedeschi, si progettò, senza successo, di instaurare un'amministrazione rispettosa delle peculiarità locali. In Dalmazia fu invece instaurata una politica di italianizzazione forzata.

    La Croazia fu dichiarata indipendente col nome di Stato Indipendente di Croazia, il cui governo fu affidato al partito ultranazionalista degli ustascia, con a capo Ante Pavelić.


    La situazione, in tutta la Iugoslavia, degenerò ben presto in una feroce guerriglia, che vide da un lato la resistenza contro gli eserciti invasori e quelli collaborazionisti, e dall'altro la lotta fra le diverse fazioni etniche e politiche in cui si frammentò la resistenza iugoslava. Numerosi crimini di guerra furono commessi da tutte le parti in causa.
    Nello Stato Indipendente di Croazia, il regime ustascia scatenò una feroce ed orrenda pulizia etnica nei confronti dei serbi, nonché di zingari ed ebrei. Contro il regime ustascia e contro gli occupanti, presero le armi i partigiani di Tito, plurietnici e comunisti, e i cetnici, monarchici e a prevalenza serba.
    Comunisti e cetnici perpetrarono a loro volta crimini contro la popolazione civile croata che appoggiava il regime ustascia e si combatterono reciprocamente.

    Nella Provincia di Lubiana tramontò il tentativo di instaurare un regime di occupazione morbido. La repressione italiana fu dura e in molti casi furono commessi crimini di guerra. Furono, fra l'altro, istituiti campi di concentramento, fra i quali si ricordano quelli di Arbe e di Gonars. Anche nella Dalmazia (italiana e croata) si innescò, fin dalla fine del 1941, una spaventosa e crudele guerra civile, che raggiunse livelli di massacro dopo l'estate 1942.

    A causa dell'annessione della Dalmazia costiera al Regno d'Italia, cominciarono, inoltre, a crescere le tensioni tra il regime ustascia e le forze d'occupazione italiane. Venne perciò a formarsi, a partire dal 1942, un'alleanza tattica tra le forze italiane e i vari gruppi cetnici. Gli italiani incorporarono i cetnici nella Milizia volontaria anticomunista (MVAC) per combattere la resistenza titoista, provocando fortissime tensioni con il regime ustascia.

    L'8 settembre 1943 con l'armistizio tra Italia e Alleati, si verifica il collasso del Regio Esercito.

    Fin dal 9 settembre le truppe tedesche assunsero il controllo di Trieste e successivamente di Pola e di Fiume, lasciando momentanemente sguarnito il resto della Venezia Giulia. I partigiani occuparono quindi buona parte della regione, mantenendo le proprie posizioni per circa un mese. Il 13 settembre 1943, a Pisino venne proclamata unilateralmente l'annessione dell'Istria alla Croazia, da parte del Consiglio di liberazione popolare per l'Istria. Il 29 settembre 1943 venne istituito il Comitato esecutivo provvisorio di liberazione dell'Istria.

    Improvvisati tribunali, che rispondevano ai partigiani dei Comitati popolari di liberazione emisero centinaia di condanne a morte. Le vittime furono non solo rappresentanti del regime fascista e dello Stato italiano, oppositori politici, ma anche semplici personaggi in vista della comunità italiana e potenziali nemici del futuro Stato comunista jugoslavo che s'intendeva creare. A Rovigno il Comitato rivoluzionario compilò una lista contenente i nomi dei fascisti, nella quale tuttavia apparivano anche persone estranee al partito e che non ricoprivano cariche nello stato italiano. Vennero tutti arrestati e condotti a Pisino. In tale località furono condannati e giustiziati assieme ad altre persone di etnia italiana e croata. La maggioranza dei condannati fu scaraventata nelle foibe o nelle miniere di bauxite, alcuni mentre erano ancora in vita.

    Secondo le stime più attendibili, le vittime del periodo settembre-ottobre 1943 nella Venezia Giulia, si aggirano sulle 600-800 persone. Alcune delle uccisioni sono rimaste impresse nella memoria comune dei cittadini per la loro efferatezza: tra queste sono Norma Cossetto, don Angelo Tarticchio, le tre sorelle Radecchi. Norma Cossetto ha ricevuto il riconoscimento della medaglia d'oro al valor civile.
    Il 10 settembre, mentre Zara veniva presidiata dai tedeschi, a Spalato ed in altri centri dalmati entravano i partigiani. Vi rimasero sino al 26 settembre, sostenendo una battaglia difensiva per impedire la presa della città da parte dei tedeschi. Mentre si svolgevano quei 16 giorni di lotta, fra Spalato e Traù i partigiani soppressero 134 italiani, compresi agenti di pubblica sicurezza, carabinieri, guardie carcerarie ed alcuni civili.

    La Dalmazia fu occupata militarmente dai tedeschi, dalla 7. SS-Gebirgsdivision "Prinz Eugen". La 77ª divisione fanteria italiana Bergamo, di stanza a Spalato e precedentemente impegnata per anni proprio nella lotta antipartigiana, in quel frangente appoggiò in massima parte i partigiani e combatté in condizioni psicologiche e materiali difficilissime contro le truppe germaniche, fra le quali la sopra citata divisione Prinz Eugen, nonostante l'atteggiamento aggressivo e poco collaborativo dei partigiani titini. Dopo la capitolazione ordinata dal comandante, generale Becuzzi, molti ufficiali italiani furono passati per le armi, in quello che è noto come il massacro di Trilj. La Dalmazia fu annessa allo Stato Indipendente di Croazia. Tuttavia Zara, restò - seppur sotto il controllo tedesco - sotto la sovranità della RSI, fino alla occupazione jugoslava dell'ottobre 1944.

    A seguito dell'armistizio di Cassibile i tedeschi lanciarono l'Operazione Nubifragio, con l'obbiettivo di assumere il controllo della Venezia Giulia, della provincia di Lubiana e dell'Istria.

    L'offensiva ebbe inizio nella notte del 2 ottobre 1943 e portò all'annientamento della resistenza opposta da parte di nuclei partigiani, che furono decimati, catturati, costretti alla fuga o dispersi. I partigiani cercarono di ostacolare i tedeschi con imboscate, colpi di mano e agguati: questi reagirono colpendo la popolazione civile, anche di etnia italiana, con fucilazioni indiscriminate, violenze, incendi di villaggi e saccheggi.
    Uno dei momenti più significativi sul territorio italiano fu la battaglia di Gorizia combattuta fra i giorni 11 e 26 settembre 1943 tra l'esercito tedesco e la Brigata Proletaria, un raggruppamento partigiano forte di circa 1500 uomini, costituito in massima parte da operai dei Cantieri Riuniti dell'Adriatico di Monfalcone rafforzato da un consistente gruppo di partigiani sloveni.

    L'Operazione Nubifragio si concluse il 9 ottobre con la conquista di Rovigno.

    Dal 1943 al 1945 si susseguirono le repressioni nazifasciste che portarono la provincia di Gorizia ad essere la prima in Italia per numero di morti nei campi di sterminio nazisti, mentre quarta fu Fiume.

    Con l'espulsione dei partigiani divenne possibile eseguire varie ispezioni nelle foibe, dove furono rinvenuti i resti di centinaia di persone. Il compito di ispezionare le foibe fu affidato al maresciallo dei Vigili del Fuoco Arnaldo Harzarich di Pola, che condusse le indagini da ottobre a dicembre del 1943 in Istria.

    La propaganda fascista diede ampio risalto a questi ritrovamenti, che suscitarono una forte impressione. Fu allora che il termine "foibe" cominciò ad essere associato agli eccidi, fino a diventarne sinonimo (anche quando compiuti in maniera diversa). Paradossalmente, l'enfasi data ai ritrovamenti da parte della Repubblica di Salò alimentò da un lato il clima di terrore che favorì il successivo esodo, dall'altro lato la reazione negazionista con cui le sinistre respinsero per molto tempo la fondatezza di un crimine denunciato per la prima volta dal nemico fascista.

    Ulteriori eccidi si ebbero nel corso dell'occupazione delle città dalmate dove risiedevano comunità italiane.

    Terribile fu la sorte di Zara, ridotta in rovine dai bombardamenti alleati, che causarono la morte e la fuga della maggior parte dei suoi abitanti. La città fu infine occupata dagli Jugoslavi il 1º novembre 1944: si stima che il totale delle persone soppresse dai partigiani in pochi mesi sia di circa 180.

    Fra gli altri furono uccisi i fratelli Nicolò e Pietro Luxardo (industriali, produttori del celebre liquore maraschino): secondo alcune testimonianze Nicolò fu annegato in mare. Quella dell'annegamento in mare legati a macigni è una pratica di cui sono state date varie testimonianze, tanto da divenire nell'immaginario popolare la "tipica" modalità di esecuzione delle vittime zaratine, similmente alle foibe in Venezia Giulia.

    Nella primavera del 1945 la IV Armata jugoslava, puntò verso Fiume, l'Istria e Trieste. L'obiettivo era di occupare la Venezia Giulia prima dell'arrivo degli alleati, trascurando l'occupazione delle due capitali (Zagabria e Lubiana), che vennero lasciate in mano germanica, in quanto la loro successiva assegnazione alla Jugoslavia non era minimamente in discussione. Il 20 aprile 1945 le formazioni partigiane raggiunsero i confini della Venezia Giulia. Tra il 30 aprile ed il 1º maggio le formazioni del IX Korpus sloveno occuparono l'Istria, Trieste e Gorizia.

    Il nuovo regime si mosse in due direzioni. Le autorità militari avevano il mandato di ristabilire la legittimità della nuova situazione creatasi con operazioni militari di occupazione. L'OZNA, la polizia segreta jugoslava, invece, operava nella più totale autonomia. Il compito della stessa era quello di arrestare i componenti del CLN e delle altre organizzazioni antifasciste italiane nonché tutti coloro che avrebbero potuto opporsi alla futura annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia, rivendicando l'appartenenza della stessa all'Italia.

    A partire dal maggio del 1945, quindi, massacri si verificarono in tutta la Venezia Giulia (Trieste, Gorizia, Istria e Fiume). A Gorizia e Trieste (occupate dal 1º maggio), i massacri cessarono con l'arrivo degli alleati il 12 giugno: si riscontrò l'uccisione di diverse migliaia di persone, molte delle quali gettate vive nelle foibe.

    I baratri venivano usati per l'occultamento di cadaveri con tre scopi: eliminare gli oppositori politici e i cittadini italiani che si opponevano (o avrebbero potuto opporsi) alle politiche del Partito Comunista Jugoslavo di Tito.

    Gli scritti dell'allora sindaco di Trieste, Gianni Bartoli, nonché alcuni documenti inglesi riportano che molte migliaia di persone sono state gettate nelle foibe locali riferendosi alla sola città di Trieste e alle zone limitrofe, non includendo dunque il resto della Giulia, dell'Istria (dove si è registrata la maggioranza dei casi) e della Dalmazia. In possesso di queste informazioni il Governo De Gasperi nel maggio 1945 chiese ragione a Tito di 2.500 morti e 7.500 scomparsi nella Venezia Giulia. Tito confermò l'esistenza delle foibe come occultamento di cadaveri e i governi iugoslavi successivi mai smentirono.


    Beato Francesco Bonifacio di nuovo si verificarono uccisioni efferate, come quella dei democristiani Carlo Dell'Antonio e Romano Meneghello e di don Francesco Bonifacio, torturato e quindi assassinato (il suo corpo non è mai stato ritrovato); ritenuto martire "in odium fidei" dalla Chiesa, è stato beatificato nel 2008.

    Tra altri politici di riferimento del CLN, si segnalano i casi di Augusto Bergera e Luigi Podestà - che restano due anni in campo di concentramento jugoslavo - e quelli del socialista Carlo Schiffrer e dell'azionista Michele Miani, che miracolosamente riescono ad aver salva la vita.

    Con l'arrivo dell'Armata Popolare Iugoslava anche a Gorizia iniziarono le repressioni che toccarono l'apice fra il 2 e il 20 maggio. Migliaia furono gli arresti e gli scomparsi non solo tra gli italiani, ma anche tra gli sloveni che si opponevano al regime comunista di Tito.

    Fra le vittime si ricordano alcuni esponenti politici locali di riferimento del CLN: Licurgo Olivi del Partito Socialista Italiano e Augusto Sverzutti del Partito d'Azione, che non si sa ancora quando fu ucciso e se il suo cadavere fu infoibato.

    Le autorità slovene a marzo del 2006 hanno consegnato al sindaco di Gorizia un elenco di 1.048 deportati dalla provincia di Gorizia, dei quali circa 900 non hanno fatto più ritorno. Secondo il presidente dell'Unione degli Istriani, Massimiliano Lacota, questa lista sarebbe ancora grandemente incompleta.


    Fiume fu occupata il 3 maggio dagli iugoslavi, che avviarono immediatemente un'intensa campagna di epurazione.

    Particolarmente violenta fu la caccia ai superstiti del Partito Autonomista Fiumano, particolarmente forte in città, che era visto come un potenziale ostacolo all'annessione della città alla Jugoslavia. Il quotidiano comunista La Voce del Popolo scatenò una violentissima campagna di denuncia contro gli autonomisti, che vennero accomunati ai fascisti. I partigiani uccisero nelle prime ore di occupazione della città i vecchi capi del partito, dei quali una buona parte fu schiettamente antifascista. Fra questi Mario Blasich (infermo da anni, venne strangolato nel suo letto), Giuseppe Sincich (prelevato dalla sua casa e abbattuto a raffiche di mitra), Mario Skull (ucciso a colpi di pistola), Giovanni Baucer, Mario De Hajnal e Giovanni Rubinich che fu fondatore del Movimento Autonomista Liburnico.

    Toccante fu la storia dell'ebreo Angelo Adam. Già deportato a Dachau e miracolosamente salvatosi, al ritorno in città venne eletto nei comitati sindacali aziendali, che fra i mesi di luglio e dicembre 1945 videro impegnate le intere maestranze cittadine, su impulso del Partito Comunista Croato. Inaspettatamente, queste elezioni videro il trionfo delle componenti autonomiste, che ottennero oltre il 70% dei seggi. In procinto di partire per Milano per incontrare i componenti del CLNAI, Angelo Adam venne arrestato, così come in immediata successione la moglie Ernesta Stefancich e il giorno dopo la figlia minorenne Zulema Adam, recatasi presso le autorità per chiedere informazioni sulla sorte dei genitori. Di nessuno dei tre si ebbero più notizie.

    Tra i politici furono uccisi i senatori fiumani Icilio Bacci e Riccardo Gigante che non si erano macchiati di crimini. In anni recenti vicino alla località di Castua è stata individuata la fossa dove riposano i resti di Gigante, ma risulta difficile il loro recupero.

    La persecuzione colpì anche gli esponenti dei CLN, secondo una linea ampiamente usata anche a Trieste e Gorizia. Numerosi furono nelle tre città gli arresti e le deportazioni di antifascisti, dei quali solo alcuni faranno ritorno dai campi di concentramento dopo lunghi periodi di detenzione. Ancora nel 1946 - assai dopo le esplosioni di "jacquerie" - risulteranno comminate condanne capitali contro reclusi accusati di aver fatto parte dei CLN.

    Il numero di italiani sicuramente uccisi dall'entrata nella città di Fiume delle truppe jugoslave (3 maggio 1945) fino al 31 dicembre 1947 è di 652, a cui va aggiunto un altro numero di vittime non esattamente identificabile per mancanza di riscontri certi.

    L'esatta qualificazione del fenomeno delle foibe è assai complessa. Dai fatti storici sopra esaminati emergono, comunque, una serie di cause remote, quali:

    la contrapposizione nazionale ed etnica fra sloveni e croati da una parte e italiani dall'altra, causata dall'imporsi del concetto di nazionalità e stato nazionale nell'area;

    gli opposti irredentismi, per cui i territori mistilingui della Dalmazia e dell'allora Litorale austriaco dovevano appartenere, in esclusiva, all'uno o all'altro ambito nazionale, e quindi all'uno o all'altro stato;

    le conseguenze della Prima guerra mondiale, con una fortissima battaglia diplomatica per la definizione dei confini fra il Regno d'Italia e il neonato Regno dei Serbi, Croati e Sloveni e le conseguenti tensioni etniche, che portarono a disordini locali e compressioni delle rispettive minoranze fin dal primo dopoguerra;

    il ventennio fascista, col tentativo di assimilazione forzata delle popolazioni slave della Venezia Giulia;

    la Seconda guerra mondiale, che conobbe nel teatro jugoslavo-balcanico uno dei fronti più complessi e violenti (si pensi solo al comportamento degli ustascia croati).

    il connubio fra una visione della guerra di liberazione iugoslava non solo "nazionale", ma anche "sociale", con la componente italiana percepita anche come "classe dominatrice".

    la natura totalitaria e repressiva del costituendo regime comunista iugoslavo.

    Ciò premesso, il fenomeno delle foibe può essere considerato come un evento derivante da un movente politico, il cui duplice obiettivo era:

    l'annessione della Venezia Giulia alla Iugoslavia: si volevano pertanto neutralizzare quelli (essenzialmente italiani) che si opponevano all'annessione di queste terre alla Iugoslavia.

    l'avvento di un governo comunista in Iugoslavia: si volevano pertanto neutralizzare reali o potenziali oppositori del costituendo regime comunista.
     
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  2. RomulusLupus
     
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    I regimi dittatoriali di qualsiasi matrice (fascista o comunista) portano sempre al male. E pensare che quei poveracci dell'istria contavano di essere salvati...non si aspettavano un altro inferno...
     
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1 replies since 22/5/2011, 14:50   100 views
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