[L'arte di comunicare.] - Prima lezione

Introduzione

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  1. Marco Licinio Crasso
     
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    Introduzione







    La parola "comunicazione" suona molto moderna ed evoca immediatamente il sistema culturale contemporaneo: intorno a essa sono state elaborate teorie e sono stati istituiti anche corsi universitari, al punto che il termine risulta perfino abusato. Il tema della comunicazione è certamente uno dei più dibatutti e l'abilità comunicativa sembra essere il requisito essenziale per orientarsi ed emergere nel mondo attuale.
    Eppure c'è un paradosso, del quale non si può non prendere atto, ed è che nell'era dell'informazione globale e tecnologica la capacità do esprimersi in modo chiaro e corretto va sempre più riducendosi. Non è difficile constatare che il livello di competenza linguistica e di capacità espressiva del diplomato "standard" di oggi in Italia sostanzialmente coincide con quello di ieri che usciva dalla scuola dell'obbligo; o il fatto che fino a non molti anni fa l'insegnamento di italiano scritto nelle università non era neppure concepibile, mentre attualmente anche facoltà non umanistiche spesso sono costrette ad avviare corsi di lingua italiana per fronteggiare le gravi carenze espositive degli studenti.
    In un sistema di comunicazione digitalizzata essenzialmente audio-visivo, che certamente ha stimolato molte altre abilità, la capacità di sostenere, in forma orale o scritta, un discorso chiaro, esaustivo e consequenziale appare sempre più rara, e c'è chi paventa il ritorno a un'età "barbarica" in cui la competenza della scrittura, che della comunicazione resta la forma più profonda, compiuta e ordinata, ritornerà appannaggio di pochi specialisti. Del resto in molti contesti della vita sociale, dalla politica all'economia, la necessità di ricorrere a esperti per redigere testi e formulare correttamente concetti o esprimere adeguatamente dei contenuti, è già una realtà.

    Vero è che anche Cicerone, al quale ora ricorriamo come maestro di quest'arte in via d'estinzione e come modello dell'abilità di parola, più di duemila anni fa lamentava la scarsità di validi oratori, lanciando una sorte di allarme rispetto alla perdita di una competenza espressiva che coincideva secondo lui con una preoccupante crisi civile e morale, per molti aspetti paragonabile alla nostra.
    La progressiva diminuzione di persone capaci di esprimersi compiutamente e correttamente era sintomi, già per Cicerone, di un pericoloso degrado sociale.
    Nel delineate la figura del perfetto oratore, in cui sostanzialmente e non a torto si identificava, egli mirava ad arginare tale declino, celebrando il valore della parola come tratto distinto dell' uomo e come mezzo fondamentale della ragione, sempre più minacciata da quello ferino della violenza che di lì a poco avrebbe preso il sopravvento con lo scoppio delle guerre civili. La parola era per Cicerone lo strumento principe dell'uomo, quello attraverso il quale l'individuo realizza ed esalta se stesso, fonda su solide basi il rapporto con l'altro e fornisce il proprio contributo al miglioramento della società.
    Come emerge con chiarezza dalle sue riflessioni sull'arte oratoria, infatti, c'è un nesso inscindibile per Cicerone tra moralità ed eloquenza, tra pensare bene e parlare bene, e forse sta proprio in questa identificazione il messaggio più forte, oggi perfino trasgressivo, del suo pensiero. L'arte di comunicare non può prescindere da ampie conoscenze e da una profonda riflessione etica; essa inoltre è per definizione una virtù che non può essere fruita nell'isolamento, ma si mette al servizio della comunità.
    Ecco allora che il perfetto oratore, secondo Cicerone, è colui il quale esprime al massimo grado le potenzialità umane, riassumendo in sé la cultura filosofica dei saggi, la capacità comunicativa e persuasiva dell'avvocato e del politico, l'onestà del cittadino perbene che vive a servizio e in difesa dello stato.
    E' solo all'interno della dimensione repubblica che si può concepire una figura come quella tratteggiata e rappresentata da Cicerone. Come avrebbe chiarito più di un secolo dopo in piena età imperiale lo storico Tacito sottolineando lo stretto legame tra società “democratica” e fioritura dell'eloquenza: l'arte oratoria, intesa non come semplice padronanza delle strategie di persuasione ma come massima espressione della profondità di pensiero, non può che svilupparsi negli stati “liberi”, dove si alimenta grazie al dibattito politico e al confronto civile.


    Continua
     
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  2. Marco Licinio Crasso
     
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    E' questo modello di stato che Cicerone cercò di difendere fino all'ultimo, pagando con la vita i suoi, ormai anacronistici, tentativi di impedire l'avvento del principato, vale a dire quella forma che lui stesso nella sua più importante opera politica , il De Re Publica, definisce come il "governo di uno solo". Questa svolta costituzionale, alla quale avrebbe suo malgrado assistitito, con la vittoria di Cesare nella guerra civile e con la contesa per il potere personale tra Ottaviano e Antonio, significava per Cicerone la fine di una dimensione politica basata sull'arte della parola a cui aveva dedicato tutta la vita.

    Cicerone si era formato nel periodo di forti tensioni che avevano condotto alla prima guerra civile, quella tra Mario e Silla, segnalandosi come avvocato difensore degli abitanti della provincia siciliana vessati da un amministratore corrotto, il celebre Verre contro il quale sono rivolte le severissime orazioni in seguito soprannominate "Verrine"; aveva poi compiuto la sua carriera di avvocato (patronus) e di politico in anni decisivi per le sorti della repubblica, giungendo nel 61 a.C. a rivestire la carica più importante, il consolato, tanto più prestigiosa per chi come lui (homo novus) non aveva alle spalle una familia aristocratica o di tradizione politica. In quell'anno aveva saputo"liberare lo stato" dal pericolo della congiura di Catilina, come testimoniano orgogliosamente i suoi quattro discorsi (le famose "Catilinarie") pronunciati per denunciare e poi per condannare i congiurati.
    Le quattro orazioni, che secondo la pratica dell'epca nascevano come appunti da declamare pubblicamente e venivano poi trascritti, perfezionati e tramanfdati come modelli di comunicazione, sono un perfetto esempio del discirsi persuasivo e giudiziario insieme, un genere che Cicerone avrebbe analizzato teoricamente nei cosidetti scritti retorici dedicati alla definizione e alla celebrazione dell'arte oratoria; si tratta di una sorta di trilogia che comprende il Brutus del 47 a.C., una rassegna dei grandi oratori greci e latini, l'Orator del 46 a.C., sulla figura del perfetto oratore e sui concetti di ritmo e armonia, e sopratutto il De oratore del 55a.C., poderosa opera in forma dialogica scritta fdopo il ritorno dell'esilio di un anno, al quale Cicerone era stato condannaro con l'accusa di non aver consentito un regolare appello aui congiurati di Catilina in occasione del processo.
    Quella condanna era stata vissuta dall'oratore come una sorta di tradimento subito da parte del giovane Ottaviano, il quale,m sestenuto da Ciceroe ma provvisoriamente alleatosi con il nemico Antonio, avrebbe di fatto acconsentito all'assassinio dell'oratore nel 43 a.C.



    La figura dell'oratore delineata negli scritti retorici ciceroniani e in particolare nel De oratore, nella quale convivono l'intellettuale, il politico e l'uomo di legge, non ha eguali nelle fasi successive della cultura occidentale, e agli occhi stessi di cicerone era più un modello ideale che un individuo concreto, come risulta evidente dall'eccesso di qualità che gli vengono ascritte nel corso dell'opera: ma nelle parole di Cicerone si coglie come a tale modello dovessero guardare tutti i cittadini, e in particolare i giovani desiderosi di contribuire al bene dello stato e intenzionati a intraprendere la carriera di oratore, nella convinzione che solo mirando al massimo si può aspirare a raggiungere buoni risultati. Della riflessione ciceroniana sull'eloquenza resta impressa in particolare l'insistenza sulla necessità di un'ampia e approfondita formazione culturale, sulla quale l'autore ritorna in maniera quasi ossessiva. Più volte compaiono frecciate polemiche nei confronti di chi intende l'arte della parola come pura strategia persuasiva, come insieme di artefizi retorici: nomnera un astuto manipolatore delle coscienze, quello che Cicerone intendeva delineare, ma una guida verso il perfezionismo intellettuale e morale della società.

    Molte volte Cicerone pur evidenziando nel corso dell'opera quanto sia essenziale il "parlare bene" ne mette in luce i rischi qualora non sia sostenuta da una vasta cultura e da una profonda moralità, arrivando ad affermare con una bella e significativa immagine, che senza tali virtù le tecniche della comunicazione sono come "armi in mano a dei pazzi".
     
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1 replies since 20/11/2008, 22:09   1334 views
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