[FILOSOFIA] FILOSOFIA DELLA CRISI DELLO SPIRITO II

II. Ontologia

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    Romano

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    Corso di Laurea in Filosofia della Crisi dello Spirito

    II. ONTOLOGIA
    di
    Caio Giulio Aquila




    ISCRITTI:
    CITAZIONE
    Caio Duilio Simone
    Paolo Tullio Traiano
    Publio Cornelio Tacito
    DioNero
    Tito Aurelio Antonino
    Lucio Giunio Bruto
    Francesco Agricola Catone
    Jacopo Vibio Frentano

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    Ontologia

    Parte 1

    Parlare di Ontologia significa parlare dell’Essere e parlare dell’Essere significa parlare del problema nodale sul quale si è combattuta e straziata la filosofia occidentale, vale a dire lo scontro l’Essere ed il Non-Essere, che in Filosofia nasce con la scuola eleatica.
    Le diverse letture di questo problema stanno in due nomi: Parmenide ed Eraclito, i quali erano uno il filosofo dell’essere unico e immobile, l’altro dell’Essere in quanto Divenire.
    Nel primo caso, essendo un monismo totalizzante, la molteplicità ed il pluralismo non esistono e sono illusori, e così tutto è sempre uguale a se stesso, unico, totale, ma tutti gli enti, le cose che sono, non esistono, in quanto esiste unicamente l’essere e null’altro. Parmenide negando il divenire dell’essere, ha evocato la possibilità del non-essere. Le conseguenze di un ragionamento del genere sono preoccupanti per l’uomo, perché ne annulla l’individualità e rende tutto ciò che gli è familiare una pura e mera illusione.
    Nel secondo caso, sottoponendo l’Essere al divenire, allora è la realtà si presenta molteplice e pluralista, e dunque gli enti, le cose e realtà esistono, ma, essendo soggetti al tempo ed allo spazio, mutano continuamente fino ad non essere. E la conseguenza di un ragionamento del genere preoccupa pure l’uomo, in quanto, per dirla alla Severino, ostacolano la sua volontà di potenza, la sua volontà che gli enti siano sempre uguali e disponibili, fruibili per l’accrescimento del sapere.
    In una conflittualità del genere, sembra impossibile alla ragione uscire dalla “confusione” del cosmo, la divina confusione dei Greci della Ellade arcaica, che si riflette nella drammatica ed irrazionale Tragedia, come si denota leggendo Nietzsche.
    La prima soluzione possibile è quella di Socrate, o meglio dire, in quanto è egli ad esporla ed egli a costruirla, di Platone. La metafisica dell’essere diventa metafisica dell’ente, dell’ENS e dell’ousia delle cose in sé, che serve a renderli disponibili ed a superare la contraddizione dell’essere parminedeo, e ciò è possibile dando luogo ad un dualismo tra l’Essere ed il Non-Essere, tra Non-Essere Assoluto ed Non-Essere Relativo, tra l’Uno ed il Diverso, tra l’Ente e l’Idea, e quindi arrivare ad affermare sostenere con forza che ciò che non è, in certo senso, è esso pure, e che ciò che è, a sua volta in certo senso non è. La volontà di potenza è soddisfatta: infatti al non-essere impronunciabile, indicibile in pratica assolutamente impossibile, subentra quello relativo, più duttile e malleabile, e soprattutto, disponibile all’azione della ragione.
    Sperando di renderlo chiaro, posto un frammento di Martin Heidegger: “Platone ha conquistato il punto di vista secondo cui il non-essere, il falso, il male, l’inconsistente, e dunque ciò che non è, anche è. Ma, con questo, il senso dell’essere doveva trasformarsi, giacché ora lo stesso non essere doveva, nello stesso tempo, venir introdotto nell’essenza dell’essere. Ma se l’essere è fin da principio l’Uno (en), questa irruzione del Non-Essere nell’unità significa il dispiegarsi dell’unità nella molteplicità. Ma, con questo, il molteplice ( i molti) non è più semplicemente separato
    dall’Uno, dall’unico, ma i due vengono riconosciuti nella loro coappartenenza.”
    Platone in poche parole, comunque, ha affermato che il non-essere non è il nulla parmenideo, ma ha una sua essenza ed diviene in qualche modo essere, uno tra i tanti esseri, per cui l’immobilità, unicità ed eternità dell’essere parmenideo è stata distrutta. Il monismo totalizzante viene meno, senza per ciò cadere in un pluralismo precario ed indisponibile alla ragione.
    L’Essere e il Diverso, infatti, si estendono l’uno nell’altro, si pervadono reciprocamente, partecipano l’uno dell’altro, in virtù dell’interazione reciproca che si verifica tra tali idee, come dice Movia.
    Si configura, dunque, con Platone, una Metafisica dell’Ente, in cui gli enti sono, esistono, in quanto sono partecipi della natura dell’essere, sono identici a sé stessi e sono diversi da altri.
    Anche Artistotele, che non mi dilungo a trattare per uguale ampiezza, la sua Metafisica è simile, la quale se ribalta il maestro nel rapporto tra idee e cose in sé, cosìccome nella gnoseologia, non mette in discussione che essa sia una Metafisica delle Res, delle cose, dove l’Ente stavolta è simbolo d’unione tra materia e sostanza, il cui predicato necessario è un luogo e dunque è esteso.
    In Platone, dunque, vi è un dualismo tra l’Ente e l’Idea, ma è proprio in questo dualismo che cade la filosofia platonica, e così la filosofia occidentale, in quanto si viene a creare una concezione dualistica della realtà, in cui, in una dimensione sottratta all’avvenire, vi è un archetipo della cosa, che poi è riprodotta ad un livello della realtà, stavolta soggetto al divenire. La realtà viene di fatto duplicata, affinché possa essere disponibile, stabile e prevedibile.
    Ed in Aristotele la cosa è pure simile, in quanto abbiamo la distinzione della res in atto ed in potenza, per cui finché la cosa non è, non posso sapere cos’è, tranne a capire per quale essenza, dunque quale fine, è stata concepita, e per cui è la forma a prevalere sull’essere.
    Ma questa concezione dualistica ha bisogno di una duplicazione per funzionare. Ed il fatto che le cose siano state create implica che vi sia un non-essere prima dell’essere a cui l’essere stesso deve fare ritorno. E dalla prevedibilità delle cose, si è giunti ad uno stato di profonda ed intima precarietà per l’uomo, che dunque fondamentalmente si riscopre nichilista.

    Edited by Caio Giulio Aquila - 26/3/2010, 22:10
     
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  2. Tito Aurelio Antonino
     
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    Nel secondo caso, sottoponendo l’Essere al divenire, allora è la realtà si presenta molteplice e pluralista, e dunque gli enti, le cose e realtà esistono, ma, essendo soggetti al tempo ed allo spazio, mutano continuamente fino ad non essere.----> potresti spiegarmi meglio questo passo??
    dell’ = cos'è?
     
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    Romano

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    Corretto, non mi aveva copiato da word la dizione greca.

    Ti rispondo:

    l’Essere al divenire, allora è la realtà si presenta molteplice e pluralista, e dunque gli enti, le cose e realtà esistono, ma, essendo soggetti al tempo ed allo spazio, mutano continuamente fino ad non essere.----> potresti spiegarmi meglio questo passo??

    Semplicemente, in una visione Eraclitea, noi siamo soltanto qualcosa che scorre. L'essere è soggetto al divenire. In poche parole, può morire, può non essere, come se non fosse mai nato. Dice Gorgia a proposito che in un ipotesi del genere "Nulla è". E ' come se fossimo già morti.
    E l'idea della morte della nostra essenza è stato sempre motivo di terrore per gli uomoni. Per questo Eraclito è difficile e poco comprensibile. E sicuramente, poco accettabile.

    Per adesso, comunque, ho fatto una "corsa" nel pensiero filosofico. Dopo esporrò la mia tesi.
     
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  4. Paolo Tullio Traiano
     
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    Ho trovato interessanti gli spunti sulla filosofia che in questo momento sto studiando e che quindi sono in grado di capire in modo abbastanza decente. Comunque fino ad ora riesco a seguire :D
     
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  5. Caio Duilio Simone
     
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    Infatti Eraclito viene definito da Aristotele "Oscuro".
     
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  6. Lucio Giunio Bruto
     
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    L'Essere ed il Non-Essere.. beh che dire. La tesi Parmenidea su questo tema mi sembra decadi. L'Essere è e non può non essere, il Non-Essere non è e non può essere. Ma già il fatto che il Non-Essere sia entrato in gioco dimostra un qualche suo coinvolgimento e dunque una sua effettiva realtà. Al momento mi sembra d'essere più vicino a Platone
     
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  7. Paolo Tullio Traiano
     
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    Infatti concordo con Bruto, anche perchè dal momento in cui il Non-Essere viene pensato e si può predicare qualcosa su di esso concettualmente viene a costituirsi, per questo ritengo più accettabile la creazione di una negazione relativa del non essere che costituisca l'alterità delle cose, altrimenti si potrebbero fare discorsi esclusivamente tautologici.
     
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    Romano

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    CITAZIONE (Lucio Giunio Bruto @ 27/3/2010, 09:16)
    L'Essere ed il Non-Essere.. beh che dire. La tesi Parmenidea su questo tema mi sembra decadi. L'Essere è e non può non essere, il Non-Essere non è e non può essere. Ma già il fatto che il Non-Essere sia entrato in gioco dimostra un qualche suo coinvolgimento e dunque una sua effettiva realtà. Al momento mi sembra d'essere più vicino a Platone

    Il problema qui non si gioca in realtà tra essere o non-essere, o meglio concettualmente è quello, ma bisogna spiegarlo: il problema è lo sbilanciamento tra un monismo ontologico ed un pluralismo ontologico.
    Perché Platone fa tutto ciò? Perché compie il parricidio della filosofia (lo dice lui)? Perché una filosofia dell'essere rende la realtà una realtà di apparenza, non conoscibile, perché la realtà è come ci appare, come la percepiamo. L'uomo, così, non può dominare nulla, perché non c'é nulla, è tutto essere, tutto confuso nell'essere. Ed ecco che nasce la Metafisica.
    Ciò che crea Platone è una visione dove c'é un oblio dell'essere: non si parla più di essere, ma di enti, delle cose che sono, che sono partecipi dell'essere, che quindi è tutto un insieme di enti. Di fatto, adesso non è più l'essere parmenido, unico (monos in greco significa unico, solo), ma di un essere plurale, fatto di più cose, dunque sottoposto al divenire, dunque che può cambiare (per chi ricorda i generi sommi gli enti sono partecipi dell'essere, identici a sé stessi e diversi da altri).
    Naturalmente, implicare che l'essere è plurale e non singolare, significa che questa realtà è soggetta al divenire e dunque è come dire che l'essere non è nulla e cadere nel discorso di Eraclito. Cioè? Significa cadere nel nichilismo, significa negare l'essere, perché l'essere a questo punto viene dal nulla e torna nel nulla. Di conseguenza, si apre una prospettiva d'orrere e dove la virtù socratica della conoscenza perde di ogni validità.
    Quindi, come lo risolve Platone? Con un dualismo ontologico. L'essere è eidos, cioè l'essere è idea; ed il soggetto (non dico oggetto, che sarebbe universale e necessario, ma soggetto, io, tu, quella penna, questo pc ecc..) è partecipe dell'idea, identico a sé stesso e diverso dall'altro.
    Ma così facendo, noi siamo solo riproduzioni, è il mondo è monnezza, è spazzatura, ed l'anima è imprigionata nel corpo e dunque deve liberarsene per tornare nell'iperuranio.
    Platone, di fatto, ha costruito una filosofia, che nel tentativo di poter conoscere e dominare la Natura- altrimenti perché una filosofia dell'ente al posto di una dell'essere? - mortifica il reale per l'al di là l'uomo, che fa sì che il mondo sia una copia priva di valore, soggetta al divenire. Su questo si basa pure la Scienza moderna.
    Ma è una balla, e ve lo dimostrerò nella prossima lezione, basandomi su Nietzsche: per una filosofia dell'ente, per dirne una, il vostro fegato è il vostro fegato, non siete voi; per una filosofia del genere, come dice Cartesio, un animale non soffre se lo vivisezioni perché non avendo un anima non esiste, è un cadavere ambulante; per una filosofia del genere, vivere è una fesserie, bisogna solo passare, mortificarsi in attesa della vera nell'al di là; oltre, ad essere una filosofia nichilista, per cui tutto ciò che è qui è nulla; siamo solo cenere. Una filosofia per sottomessi, non per uomini. Una filosofia che nasconde una logica di potenza e di potere.
     
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7 replies since 25/3/2010, 19:13   105 views
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