Miglior politico ( anche non propriamente ) italiano di sempre?
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Miglior politico ( anche non propriamente ) italiano di sempre?

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  1. Jacopo Vibio Frentano
     
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    CITAZIONE (Tiberio Sempronio Gracco @ 24/2/2011, 15:04) 
    CITAZIONE
    come giustamente dice anche helmut, de felice è ampiamente superato, e all'estero gli ridono dietro ma si sa, il provincialismo è una delle caratteristiche dei fascisti.

    Helmut può dire quello che vuole, come invece dice 3/4 del mondo accademico internazionale e della storiografia De Felice non solo non è superato, ma è un punto di partenza imprescindibile per qualunque seria analisi del fenomeno fascista. Poi ovvio che gli antifascisti come te attacchino il "revisionismo defeliciano", il vostro intento è fare propaganda non storia.

    veramente l'intento di fare propaganda ma non storia è dichiaratamente quello di quelli del covo, che fanno "storia" da un punto di vista dichiaratamente ideologico. Ma vabbè...
    de felice è superato, e se ne può tranquillamente trascendere, come è ampiamente riconosciuto all'estero e fra i migliori storici italiani.
    Ma tu ancora stai ad uno storico che ha smesso di produrre decenni fa, cosa ci si può aspettare :asd:

    CITAZIONE
    La tua materia grigia si è così atrofizzata (sempre che tu l'abbia mai avuta) che ti porta a pensare che nel mondo esistono solo due categorie: fascisti e antifascisti

    veramente il dividere il mondo per categorie ideologiche è una prerogativa dei fascisti :asd: per quanto mi riguarda, trovo semplicemente evidente, conoscendo de felice, che avesse simpatie per il fascismo come fenomeno e (meno) come persone. ma se tu non riconosci la verità nemmeno se ti morde le chiappe non è colpa mia. (tralascio le offese volontariamente).

    CITAZIONE
    1. Non c'è nessuna prova che De Felice volesse "giustificare" il Fascismo, esistono invece prove che dimostrano il contrario;

    è evidente che volesse giustificarlo, dato che tutta la sua opera era mirata a rivalutare gli aspetti "positivi" del fascismo, più che a fare una analisi neutrale. Basta vedere la sua opera sugli ebrei, dove per tutto il libro fa un discorso imparziale a favore dei fascisti e poi alla fine con due righe dove dice che in realtà a lui sta sul cazzo mussolini pensa di tirarsi fuori da un meritato giudizio :asd:



    CITAZIONE
    2. Tutte le tue analisi denotano una forte formazione e impronta marxista, il che si riallaccia al discorso di Candeloro che ti ho citato;

    deduco quindi che nolte sia di formazione e impronta marxista. Faglielo sapere eh, sono sicuro che sarà contento di saperlo :ahah:
    fra parentesi: detto da un fascista, marxista diventa un complimento grosso come una casa: il migliore dei fascisti non vale l'ultimo dei comunisti.
    Su candeloro, i suoi libri li ho letti molto tempo fa, e non ricordo nemmeno nel dettaglio le sue tesi; ho semplicemente cercato i dati che tu ovviamente non commenti, dato che sbugiardano per l'ennesima volta la tua ignoranza (i coltivatori sono aumentati durante la ww1, non diminuiti).

    CITAZIONE
    De Felice è uno storico antifascista, la sua opera è una costante demolizione del fascismo

    :ahah: :ahah: :ahah: ah quindi sostenere che i fascisti si difendevano dai socialisti (cosa non accettata dalla storiografia moderna) vuol dire demolire il fascismo? :ahah: :ahah: :ahah:
    vabbè oltre a queste comiche hai altro? ad esempio i 3/5 della storiografia mondiale è un numero che ti sei sognato? te l'ha detto padre pio?
    dai giocatelo al lotto che fai i soldi :asd:
    oppure hai fatto un censimento?

    CITAZIONE
    Esattamente, non significa questo. Solo per un marxista servo dei comunisti come te può scrivere tali assurdità.

    Ah già non significa questo :asd: molto realistica come opinione.
    Sono sicuro che i tuoi sofismi facessero molta consolazione al bracciante che si vedeva la paga ridotta da 20 a 9 lire, e facessero molto dispiacere all'industriale che poteva fare il bello e il cattivo tempo, ora che era libero dalla paura degli scioperi :asd:
    ah lo scorno della borghesia...avessi io scorni del genere :ahah:
    ora scusa ma vado a servire un po' i comunisti, gli devo comprare il latte :ahah:

    CITAZIONE
    Servo di chi? Non mi paga nessuno per smentire le fesserie che scrivi. :asd:

    la tua è una mentalità da servo, da suddito di un qualsiasi satrapo ;)
    per questo non riesci, nemmeno sforzandoti, a capire il punto di vista di una persona che pretende decenza e coerenza.
    Non è colpa tua: non puoi proprio riuscirci.
     
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  2. Tiberio Sempronio Gracco
     
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    CITAZIONE
    veramente l'intento di fare propaganda ma non storia è dichiaratamente quello di quelli del covo, che fanno "storia" da un punto di vista dichiaratamente ideologico. Ma vabbè...

    Il che è assolutamente falso, ma non sai più dove arrampicarti.

    CITAZIONE
    de felice è superato, e se ne può tranquillamente trascendere, come è ampiamente riconosciuto all'estero e fra i migliori storici italiani.

    De Felice non è per nulla superato, è molto seguito all'estero e i maggiori storici italiani sono più o meno affini alla sua scuola (Emilio Gentile, Alessandra Tarquini, Giuseppe Parlato, Fabio Andriola, Buchignani ecc.).

    CITAZIONE
    Ma tu ancora stai ad uno storico che ha smesso di produrre decenni fa, cosa ci si può aspettare

    Io a differenza tua analizzo I CONTENUTI, non la cronologia ;-)
    (poi detto da uno che si basa su Nolte)

    CITAZIONE
    veramente il dividere il mondo per categorie ideologiche è una prerogativa dei fascisti per quanto mi riguarda

    Veramente eri tu che poco fa davi del filofascista a De Felice perchè, a tuo dire, non era antifascista :asd:
    quando non si sa dove parare, diamo sempre la colpa ai cattivoni fascisti eh?

    CITAZIONE
    trovo semplicemente evidente, conoscendo de felice, che avesse simpatie per il fascismo come fenomeno e (meno) come persone. ma se tu non riconosci la verità nemmeno se ti morde le chiappe non è colpa mia. (tralascio le offese volontariamente).

    Adesso ritratti. Il "filofascismo defeliciano" e il suo voler "giustificare il fascismo" sono adesso diventati una mera "simpatia verso il fenomeno". Frase alquanto generica oltre che falsa, visto che mai nelle sue opere De Felice ha espresso apprezzamenti verso il fenomeno. Ripeto, come dimostra Emilio Gentile, De Felice è un antifascista e demolitore del fascismo. E' un mezzuccio vecchio e piuttosto ridicolo cercare di ridicolizzarne le tesi tacciandolo per "fascista", come d'altronde fecero i tuoi amichetti kommunisti quando uscirono le sue opere. E come fecero anche con Pansa, malgrado provenisse anche lui dalle fila antifasciste. Squalificare un personaggio dandogli del "fascista", la prassi comune dei merdaliani.

    CITAZIONE
    vabbè oltre a queste comiche hai altro? ad esempio i 3/5 della storiografia mondiale è un numero che ti sei sognato?

    Si chiamano Fatti :)
     
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  3. Jacopo Vibio Frentano
     
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    CITAZIONE (Tiberio Sempronio Gracco @ 24/2/2011, 15:50) 
    CITAZIONE
    veramente l'intento di fare propaganda ma non storia è dichiaratamente quello di quelli del covo, che fanno "storia" da un punto di vista dichiaratamente ideologico. Ma vabbè...

    Il che è assolutamente falso, ma non sai più dove arrampicarti.

    Non è falso, l'ho visto scrivere sul covo :asd:
     
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  4. Tiberio Sempronio Gracco
     
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    CITAZIONE
    Sono sicuro che i tuoi sofismi facessero molta consolazione al bracciante che si vedeva la paga ridotta da 20 a 9 lire

    Si infatti erano tutti morti di fame questi braccianti. Oddio quanto sei ridicolo e demagogico. :asd:
     
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  5. Jacopo Vibio Frentano
     
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    CITAZIONE
    De Felice non è per nulla superato, è molto seguito all'estero

    provalo :asd: io intanto posso dire per esperienza che lo considerano provinciale e fazioso.
     
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  6. Tiberio Sempronio Gracco
     
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    CITAZIONE
    la tua è una mentalità da servo, da suddito di un qualsiasi satrapo
    per questo non riesci, nemmeno sforzandoti, a capire il punto di vista di una persona che pretende decenza e coerenza.
    Non è colpa tua: non puoi proprio riuscirci.

    Che analisi lungimirante. Detto da un servo merdaliano. :asd:

    CITAZIONE
    Non è falso, l'ho visto scrivere sul covo

    Dimostralo :)
     
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  7. Jacopo Vibio Frentano
     
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    CITAZIONE
    Io a differenza tua analizzo I CONTENUTI, non la cronologia ;-)

    :ahah: ma se stai sempre a dire che qualcuno è superato perchè vecchio :ahah:
    in realtà la tua tecnica è questa: giudichi tutti rispetto a quelli che danno ragione al fascismo; quelli che vengono prima sono superati, quelli che vengono dopo pure. Ma ovviamente la storia non si fa così :asd:

    CITAZIONE
    Veramente eri tu che poco fa davi del filofascista a De Felice perchè, a tuo dire, non era antifascista :asd:
    quando non si sa dove parare, diamo sempre la colpa ai cattivoni fascisti eh?

    de felice è filofascista, tutto qui ;)


    CITAZIONE
    Adesso ritratti. Il "filofascismo defeliciano" e il suo voler "giustificare il fascismo" sono adesso diventati una mera "simpatia verso il fenomeno". Frase alquanto generica oltre che falsa, visto che mai nelle sue opere De Felice ha espresso apprezzamenti verso il fenomeno

    Filofascista e simpatia verso il fenomeno sono sue definizioni dallo stesso significato. Se hai studiato greco dovresti saperlo :asd:
    In realtà non vedo come e dove de felice abbia "demolito" il fascismo, invece di elogiarlo in continuazione come moderno, dinamico, razionale, non razzista etc.etc.

    CITAZIONE
    Si chiamano Fatti :)

    si? fammi vedere dove l'hai preso il dato del 3/5 :ahah: vediamoli, sti FATTI

    CITAZIONE (Tiberio Sempronio Gracco @ 24/2/2011, 15:52) 
    CITAZIONE
    la tua è una mentalità da servo, da suddito di un qualsiasi satrapo
    per questo non riesci, nemmeno sforzandoti, a capire il punto di vista di una persona che pretende decenza e coerenza.
    Non è colpa tua: non puoi proprio riuscirci.

    Che analisi lungimirante. Detto da un servo merdaliano. :asd:

    al tuo contrario, io non giustifico nessun satrapo che viva a villa torlonia gratis ;)
    l'attuale sistema mi fa schifo, come mi fa schifo che quel maiale di mussolini facesse la vita di un re.
    Da cittadino libero, io critico tutti coloro che sono immorali. Da servo, tu critichi solo i nemici del tuo satrapo.

    CITAZIONE
    Dimostralo :)

    lo farò quando tu mi dimostrerai dati alla mano che i coltivatori sono diminuiti nell'italia della ww1 o che la reichswehr cessò di esistere dopo la guerra ^_^

    CITAZIONE (Tiberio Sempronio Gracco @ 24/2/2011, 15:51) 
    CITAZIONE
    Sono sicuro che i tuoi sofismi facessero molta consolazione al bracciante che si vedeva la paga ridotta da 20 a 9 lire

    Si infatti erano tutti morti di fame questi braccianti. Oddio quanto sei ridicolo e demagogico. :asd:

    si, i braccianti facevano una vita da pezzenti, mentre gli industriali facevano cinque pasti al giorno. Deridere la miseria che non si conosce è tipico della tua parte ideologica. La guardia bianca, insomma.
     
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  8. Tiberio Sempronio Gracco
     
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    Si vabbè dai mi sono stufato di questa polemica con un marxista ideologizzato. Piuttosto, mi preme smentire questa affermazione falsa, ridicola e oltremodo oltraggiosa:

    CITAZIONE
    Filofascista e simpatia verso il fenomeno sono sue definizioni dallo stesso significato. Se hai studiato greco dovresti saperlo
    In realtà non vedo come e dove de felice abbia "demolito" il fascismo, invece di elogiarlo in continuazione come moderno, dinamico, razionale, non razzista etc.etc.

    Che De Felice sia stato un filofascista è un'accusa assolutamente falsa e faziosa (anche se lo fosse stato, le sue analisi rimangono comunque ineccepibili). Piuttosto a smentire questa fandonia degna del peggiore Merdaliano (quale Frentano è) interviene l'autorevole Emilio Gentile dimostrando in “Renzo DeFelice – lo storico e il personaggio” ( Roma-Bari 2003) che non solo De Felice non può essere accusato in alcun modo di velleità apologetiche, ma che inoltre la sua opera fu una demolizione del fascismo e del suo capo (lo disse anche De Felice stesso). Ecco l'estratto, studia e fatti un po di cultura:

    Il duce e il suo biografo

    «L‘Homme qui cherche»

    Dopo la delineazione delle fasi, dei caratteri e dei temi essenziali dell'interpretazione defeliciana del fascismo, e l'indicazione di alcuni dei problemi e delle aporie che essa, a mio parere, ha lasciato insoluti o aperti a soluzioni diverse da quelle proposte da De Felice, credo opportuno verificare se nei suoi studi sia rinvenibile un'intenzione o un'intonazione apologetica, volta ad attenuare la condanna etica e politica del fascismo e del suo capo. È evidente che a tale verifica si possono dare risposte diverse e contrapposte, a seconda del punto di vista di chi risponde. Mi pare tuttavia che nessuno oggi sostenga, come avveniva nei momenti delle più violente polemiche, che De Felice sia stato un'apologeta di Mussolini: e se qualcuno ancora ripete questa accusa, fa un po' la figura patetica del soldato giapponese sperduto in una giungla asiatica, che anni dopo il 1945 credeva di essere ancora in combattimento perché non gli era giunta la notizia che la guerra era finita. [CAPITO FRENTANO? SEI UN GIAPPONESE!] Del resto, se ci atteniamo al giudizio storico su Mussolini, così come emerge dall'opera defelícíana, mi pare che l'accusa di apologia risulti del tutto infondata. Fin dall'introduzione al primo volume della biografia mussoliniana, De Felice dava una valutazione storica e psicologica molto critica della personalità mussoliniana, e distruggeva alla base qualsiasi mito del "grande uomo". De Felice definì Mussolini l'«homme qui cherche» , cioè un politico che «trovò la sua via giorno per giorno, senza avere un'idea di dove sarebbe arrivato, ma "sentendo" da vero politico quale fosse la propria direzione». Da qui, un giudizio definitivo sulla figura storica di Mussolini come «notevole uomo politico», che «ebbe ben poco del vero uomo di Stato» perché «in tutti i momenti nodali della sua vita gli mancò la capacità di decidere, tanto che si potrebbe dire che tutte le decisioni più importanti o gli furono praticamente imposte dalle circostanze o le prese tatticamente, per gradi, adeguandosi alla realtà esterna» (56). Privo di principi morali, senza una idea precisa da realizzare, assolutamente spregiudicato, Mussolini, secondo De Felice, agiva seguendo «una direzione sostanzialmente univoca, ma altrettanto sostanzialmente tracciata giorno per giorno, frutto non già di un piano e di una consapevolezza precisi, ma – al contrario – determinati da un successivo adeguamento e inserimento nella situazione in atto» (57).

    Non fu un "capo"

    Il tatticismo mussoliniano, aggiungeva il biografo nel 1966, era la conseguenza di un «miscuglio di personalismo, di scetticismo, di diffidenza, di sicurezza in se stesso e al tempo stesso di sfiducia nell'intrinseco valore di ogni atto e, quindi, nella possibilità di dare all'azione un significato morale, un valore che non fosse provvisorio, strumentale, tattico» ( 58 ), sicché Mussolini, anche dopo essere giunto al potere, rimase sostanzialmente un homme qui cherche, «l'uomo delle soluzioni "nei fatti" e a breve termine» e «non ebbe mai la tempra del realizzatore, non diciamo di una nuova società, ma neppure di un nuovo Stato» (59), perché «più che un grande politico creatore, Mussolini era stato un distruttore» (60). Di conseguenza, con «ferma convinzione», De Felice negava a Mussolini la qualità del «capo», perché «non aveva una idea precisa, che gli fosse meramente di sostegno e di guida nell'azione, degli obbiettivi finali alla realizzazione dei quali doveva tendere questa sua azione; mancandogli questa idea precisa, questa intima moralità, la "grandezza" e il "bene" dell'Italia finivano per ridursi all'esercizio del potere, inevitabilmente inteso come potere personale; sicché il proprio successo personale finiva necessariamente per diventare per lui il successo della nazione». E ancora nel 1974, pur riconoscendo ora a Mussolini, come abbiamo visto, una "sua" moralità (attribuendola però a una "svolta" nella personalità e nella politica mussoliniana avvenuta fra il 1927 e il 1928), De Felice confermava sostanzialmente il giudizio negativo: quando, valutando complessivamente l'attività mussoliniana nel periodo fra il 1929 e il 1936, scriveva:

    raramente è documentabile uno sforzo di elaborazione di una linea politica proiettata sui tempi lunghi e con finalità non meramente contingenti; che qualche raro caso in cui è evidente l'intenzione di giungere ad un'effettiva riforma non sotto lo stimolo di esigenze contingenti ma in funzione di un preciso obbiettivo politico risulta quasi sempre lasciato ad un certo momento cadere, senza che sia possibile coglierne appieno le ragioni; e che, infine, quasi tutte le iniziative politiche di qualche importanza appaiono prese quasi all'improvviso, senza un'adeguata preparazione, quasi frutto di decisioni repentine, spesso rese possibili da circostanze contingenti (61).

    Da qui, secondo De Felice, 9 continuo oscillare del duce fra un tatticismo realistico, tutto condizionato dalla logica del "durare", e un attivismo ambizioso e smanioso di "osare" vagheggiando la realizzazione di imprese grandiose ed epocali, che caratterizza il Mussolini defeliciano nel secondo decennio del regime fascista; un'oscillazione che il biografo riscontra soprattutto nella conduzione della politica estera e nel ruolo decisivo che questa venne progressivamente assumendo nell'attività mussoliniana, specialmente dopo il 1932.

    Non fu un «grande»

    De Felice riteneva che Mussolini era giunto al potere senza un vero e proprio programma di politica estera, e si era mosso all'inizio con cauto e spregiudicato realismo nello scacchiere europeo, cercando di sfruttare il «peso determinante» dell'Italia nel confronto fra le maggiori potenze europee, avendo però sempre di mira una futura espansione imperiale e l'affermazione dell'Italia come grande potenza, finché poté appagare la sua ambizione con la guerra d'Etiopia, che fu, secondo De Felice, «il capolavoro politico di Mussolini e il suo maggior successo»:

    perché egli credette in essa profondamente, come probabilmente in nessun'altra sua iniziativa politica. E vi credette non solo strumentalmente, in funzione del suo prestigio personale o, se si preferisce, della logica della sua visione dei rapporti internazionali e della politica estera italiana, ma intimamente, come qualche cosa che corrispondeva alla ragion d'essere della sua figura storica; sicché essa assunse per lui il valore di una missione che doveva far si che la Nazione (presente e futura) riconoscesse nella sua la propria vocazione, il proprio dovere assoluto, e si realizzasse quindi quella identificazione tra vox ducis e vox populi che sino allora il fascismo era stato incapace di realizzare veramente (62). Nello stesso tempo, però, De Felice affermava che la guerra d'Etiopia rappresentò anche l'inizio di un processo di «grave involuzione» (63) nella personalità del duce, per conseguenza del successo stesso, che accentuò progressivamente l'infatuazione di Mussolini per il proprio genio politico e per la propria infallibilità, dopo «il salto di qualità rappresentato dal passaggio dalla logica del "durare" a quella dell`osa¬re». Questo passaggio, osservava De Felice, era carico di una «drammatica potenzialità», che «in gran parte doveva sfuggire allo stesso Mussolini» e che, facendogli perdere la percezione della realtà, «nonostante le sue indubbie capacità politiche e il realismo del suo buon senso contadino – si trasformava inevitabilmente nella premessa della catastrofe», allorché l’homme qui cherche divenne prigioniero del proprio mito. Da tutte queste considerazioni sulla politica del duce e sugli effetti dell'esperienza fascista, giudicati ancor prima della catastrofe della guerra, De Felice giungeva nel 1981 a formulare un giudizio definitivo sulla figura storica di Mussolini; negandogli in modo inequivocabile la qualifica di grande:

    Anche se fu mosso da «grandi» ideali, anche se occupò un grande posto ed ebbe grandi responsabilità nelle vicende che portarono alla seconda guerra mondiale, Mussolini non fu un grande, neppure «un grande distruttore puro». Un uomo come lui, che conosceva benissimo e teorizzava ad ogni occasione cosa fosse un mito e come «vero» uomo politico se ne dovesse servire, per essere grande avrebbe dovuto innanzitutto non rimanere vittima proprio del mito. Qualcuno potrà dire che anche Hitler inseguiva un mito. È vero, m lo aveva sempre inseguito. Mussolini no. Per anni egli era stato realista, spesso terra terra. E in buona parte lo rimase anche quando restò vittima del mito (64).

    Nei volumi successivi della biografia, riguardanti gli anni dopo il 1940, questo giudizio ebbe più gravi conferme dalla ricostruzione defeliciana della politica di Mussolini. D guerra d'Etiopia alla seconda guerra mondiale e fino al crollo finale, la politica mussoliniana fu una sequela di errori compiuti da un uomo che viene descritto da De Felice come dotato, talvolta, di un «lucido realismo» ancorato al suo innato tatticismo, ma che si mostrava ogni giorno sempre più imprigionato dal groviglio delle proprie velleitarie ambizioni e dalla mole crescente dei risultati fallimentari che la sua politica produceva. Anche se possono apparire non del tutto convincenti le argomentazioni con le quali De Felice ha interpretato i moventi delle più importanti decisioni mussoliniane nella seconda metà degli anni trenta, come l'adozione della legislazione razzista e antisemita, l'alleanza con la Germania nazista, e infine l'entrata in guerra dell'Italia, il suo giudizio non concede al duce alcuna attenuante. Per esempio, a proposito delle leggi antisemite, dopo aver osservato che «le cause della persecuzione furono molte e cospiranti» e «molte furono le responsabilità individuali – di coloro che lavorarono per realizzarla e di coloro che vilmente la lasciarono realizzare pur disapprovandola», De Felice affermava decisamente che «la responsabilità maggiore però fu certamente di Mussolini, della sua incosciente megalomania di trasformare gli italiani e, con i tedeschi, di trasformare il mondo, in nome di principi e ideali che, pur non essendo quelli dei tedeschi e spesso contrapponendosi ad essi, erano la negazione di ogni principio e di ogni ideale» (65). Quanto all'entrata in guerra, pur dopo aver insistito sulle incertezze e le ambiguità del dittatore prima della decisione finale, nella valutazione conclusiva De Felice faceva proprio sia il giudizio della "pugnalata alla schiena" inferta a un paese già a terra, formulato dall'ambasciatore francese al momento della dichiarazione di guerra, sia il giudizio pronunciato da Winston Churchill alla fine del 1940, che faceva ricadere la responsabilità di aver condotto l'Italia in guerra interamente su Mussolini, «il criminale che ha tessuto questa gesta di follia e di vergogna» (66). De Felice confermava la validità di questi giudizi che «tutt'oggi sono alla base del giudizio storico-morale collettivo sull'intervento italiano»: un giudizio, aggiungeva, «che il tempo e gli storici possono modificare, ma non cancellare o ribaltare, ché, in ultima analisi, il fatto di aver trovato così vasta eco nella coscienza collettiva dei contemporanei sta a significare che al fondo di esso vi è qualcosa che va oltre le passioni e gli intenti polemico-propagandistici del momento, che ha una oggettiva validità, che può, appunto, essere precisato e corretto in una prospettiva più propriamente storica, ma non disatteso» (67).

    I guasti del regime

    Se nettamente negativo, dal punto di vista storico e dal punto di vista etico-politico, è il giudizio complessivo di De Felice su Mussolini, altrettanto nettamente negativo mi pare sia A giudizio complessivo sull'esperienza fascista così come emerge dall'opera defeliciana, quale che sia poi la valutazione critica che di essa può essere data, dal punto di vista storiografico, e il dissenso nei confronti del giudizio che egli ha dato su aspetti, momenti, episodi e figure del fascismo, o anche nei confronti dell'interpretazione di problemi più ampi. E non mi pare che tale giudizio negativo sia contraddetto o attenuato allorché De Felice afferma, per esempio, che il regime ebbe, per un certo periodo, il consenso della maggioranza degli italiani o ebbe aspetti ed effetti modernizzatori sulla trasformazione della società e dello Stato italiano. Le due affermazioni infatti sono constatazioni piuttosto che giudizi etico-politici, e non contengono di per sé un'intonazione apologetica. Maggiore importanza invece hanno, per il giudizio etico-politico, le riflessioni di De Felice sul significato dell'esperienza fascista nella storia degli italiani, sul «guasto morale» prodotto nella società italiana dalla dittatura fascista: «la smoralizzazione della vita»; «una sempre più marcata ed effettiva spoliticizzazione della società» sotto «la parvenza di una estrema politicizzazione di massa»; un'«altrettanto marcata parcellizzazione e dispersione delle forze sociali (e dunque della loro potenzialità di agire politicamente entro il regime) in tante realtà particolari ognuna chiusa in se stessa» ( 68 ). Del resto, neppure l'analisi del consenso al fascismo proposta da De Felice consente di trarne elementi per accusarlo di apologia del regime. Lo storico precisa, infatti, che l'area del «consenso attivo» era limitata nell'ambito delle principali organizzazioni del regime, mentre per la maggior parte degli italiani il consenso fu «largamente superficiale, passivo», e non si trasformò mai, neppure quando si estese nei momenti di maggior successo per il regime, in «consenso attivo», il quale «per essere veramente tale, ha bisogno di partecipazione politica, di effettivo spirito critico, di vera informazione. Tutte cose che a questo consenso — nonostante il mito del "duce" — mancavano o erano surrogate dal mero inquadramento nel PNF c/o nelle organizzazioni di massa fasciste e della partecipazione — talvolta spontanea e sentita, ma spesso solo dovuta — alle manifestazioni, alle iniziative del regime» (69). Questi «guasti morali» ebbero effetti immediati durante la seconda guerra mondiale, che fece precipitare la crisi interna del regime:

    già dopo i primi mesi di guerra, il regime fascista [...] mostrò, proprio in quanto regime, me, gravi segni di scollamento, di degenerazione e di sclerosi che — pur attraverso accelerate e frenate connesse all'andamento delle vicende belliche — andarono via via aumentando e influenzando tutto il clima del paese e il suo atteggiamento verso il regime stesso, sicché si può dire che questo al momento della crisi finale esisteva ormai quasi solo nominalmente e che lo sbarco alleato in Sicilia fu molto più l'occasione che la causa del crollo (70).

    Anche se talvolta lo sforzo fatto da De Felice per capire fino in fondo le motivazioni, la psicologia e i comportamenti di Mussolini, specialmente negli anni della seconda guerra mondiale, sembra rendere la sua valutazione meno severa che nei degli confronti degli altri esponenti principali regime, dello Stato e delle Forze armate, nel complesso la figura del duce, così come emerge dalla ricostruzione defelicíana, neanche in quest'ultima fase mi pare presenti toni apologetici. Né penso che si possa riscontrare un tono siffatto nella tesi defelícíana, secondo la quale la decisione di Mussolini, ormai ridotto a cadavere politico dopo il 25 luglio 1943, di assumere la guida di un nuovo Stato fascista, come Hitler gli imponeva, sarebbe stata dettata principalmente da sentimento patriottico per sottrarre l'Italia alla minacciata vendetta del Fúhrer. Il movente patriottico, infatti, non viene addotto dal biografo per attenuare la gravità delle conseguenze che la nascita della Repubblica sociale produsse:

    Posta la questione sul piano dei costi e delle conseguenze — scrive De Felice nell'ultimo volume della biografia —, è fuor di dubbi che storicamente la bilancia si squilibri irrimediabilmente a tutto svantaggio della decisione mussoliniana. La costituzione della Rsi fu infatti all'origine della guerra civile [...] che, nel 1943 -45, insanguinò le regioni occupate dai tedeschi, divise profondamente gli italiani scavò solchi d'odio tra loro e condizionò poi massicciamente per decenni la vita italiana, dandole un carattere diverso da quello di altri paesi occidentali, quali la Francia, o Belgio e, in qualche misura, la stessa Germania (71).

    In conclusione, non mi pare che la valutazione storica di; Mussolini e del fascismo espressa dall'opera di De Felice possa configurarsi come apologetica, a meno di non sovvertire radicalmente il significato di questa parola. Anche se, come tutte le valutazioni storiche, essa può essere discussa, criticata e respinta, in tutto o in parte, con documenti nuovi e, con argomenti che si dimostrino razionalmente e storicamente più convincenti, mi pare che dalla sua biografia mussoliniana risulti confermato ciò che De Felice aveva detto nel 1975, rispondendo a quanti lo accusavano di voler riabilitare Mussolini:

    Io sono convinto invece che se da tutta la mia opera un personaggio esce intimamente criticato a fondo e per molti aspetti distrutto, quello è Mussolini. Distrutto al di là della sua capacità tattica, della sua capacità politica — che credo nessuno in buona fede gli possa contestare [...] La mia è la critica dall'interno più profonda di Mussolini, al di là delle frasi roboanti, delle accuse vere e qualche volta false che gli sono state mosse, per distruggerlo sommariamente, ma che non distruggono niente. Io credo che questo sia il lavoro concreto da fare: i fatti sono assai più eloquenti e persuasivi delle filippiche di certo antifascismo da comizio e di tante schematizzazioni che fanno acqua da tutte le parti (72).

    NOTE

    56R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, Torino 1965, p. XXIII
    57 M, p. 460.
    58 Id., Mussolini il fascista. La conquista del potere 1921-1925, Torino 1966, p. 472.
    59 Ivi, p. 537.
    60 Ivi, pp. 462-65.
    61 Id., Mussolini il duce. Gli anni del consenso 1929-1936, Torino 1974, pp. 23-24.
    62 Ivi, p. 642.
    63 Id., Mussolini il duce. Lo Stato totalitario 1936-1940, Torino 1981, p. 301.
    64 Ivi, p. 330.
    65 R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo,Torino 1961, p. 254.
    66 Id., Mussolini il duce. Lo Stato totalitario, cit., pp. 843-44.
    67 Ivi, pp. 842-43.
    68 Ivi, pp. 219-21.
    69Ivi, pp. 215-17.
    70 Id., Mussolini l'alleato. L'Italia in guerra 1940-1943. Crisi e agonia del regime, Torino 1990, p. 972.
    71 Id., Mussolini l'alleato. La guerra civile 1943-1945, Torino 1997, p. 69.
    72 Id., Intervista sul fascismo, a cura di M.A. Ledeen, Roma-Bari 1975, p.
     
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  9. Jacopo Vibio Frentano
     
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    CITAZIONE (Tiberio Sempronio Gracco @ 24/2/2011, 16:17) 
    Si vabbè dai mi sono stufato di questa polemica con un marxista ideologizzato. Piuttosto, mi preme smentire questa affermazione falsa, ridicola e oltremodo oltraggiosa:

    ovvero, sostanzialmente scappi dalla discussione perchè riconosci di avere torto. Daltronde capisco sia difficile sostenere una discussione quando si viene sbugiardati praticamente su tutto (come l'inesistenza della reichswehr, l'aumento dei coltivatori nella ww1, la non autosufficienza dell'italia dopo la guerra etc).

    CITAZIONE (Tiberio Sempronio Gracco @ 24/2/2011, 16:17) 
    Si vabbè dai mi sono stufato di questa polemica con un marxista ideologizzato. Piuttosto, mi preme smentire questa affermazione falsa, ridicola e oltremodo oltraggiosa:

    peggiore Merdaliano (quale Frentano è)

    come sempre, quando non ci sono i fatti ci si butta sulla violenza o, impossibilitati, sull'offesa :rolleyes: tutto molto fascista.

    CITAZIONE (Tiberio Sempronio Gracco @ 24/2/2011, 16:17) 
    Dopo la delineazione delle fasi, dei caratteri e dei temi essenziali dell'interpretazione defeliciana del fascismo, e l'indicazione di alcuni dei problemi e delle aporie che essa, a mio parere, ha lasciato insoluti o aperti a soluzioni diverse da quelle proposte da De Felice, credo opportuno verificare se nei suoi studi sia rinvenibile un'intenzione o un'intonazione apologetica, volta ad attenuare la condanna etica e politica del fascismo e del suo capo. È evidente che a tale verifica si possono dare risposte diverse e contrapposte, a seconda del punto di vista di chi risponde. Mi pare tuttavia che nessuno oggi sostenga, come avveniva nei momenti delle più violente polemiche, che De Felice sia stato un'apologeta di Mussolini: e se qualcuno ancora ripete questa accusa, fa un po' la figura patetica del soldato giapponese sperduto in una giungla asiatica, che anni dopo il 1945 credeva di essere ancora in combattimento perché non gli era giunta la notizia che la guerra era finita. [CAPITO FRENTANO? SEI UN GIAPPONESE!] Del resto, se ci atteniamo al giudizio storico su Mussolini, così come emerge dall'opera defelícíana, mi pare che l'accusa di apologia risulti del tutto infondata. Fin dall'introduzione al primo volume della biografia mussoliniana, De Felice dava una valutazione storica e psicologica molto critica della personalità mussoliniana, e distruggeva alla base qualsiasi mito del "grande uomo". De Felice definì Mussolini l'«homme qui cherche» , cioè un politico che «trovò la sua via giorno per giorno, senza avere un'idea di dove sarebbe arrivato, ma "sentendo" da vero politico quale fosse la propria direzione». Da qui, un giudizio definitivo sulla figura storica di Mussolini come «notevole uomo politico», che «ebbe ben poco del vero uomo di Stato» perché «in tutti i momenti nodali della sua vita gli mancò la capacità di decidere, tanto che si potrebbe dire che tutte le decisioni più importanti o gli furono praticamente imposte dalle circostanze o le prese tatticamente, per gradi, adeguandosi alla realtà esterna» (56). Privo di principi morali, senza una idea precisa da realizzare, assolutamente spregiudicato, Mussolini, secondo De Felice, agiva seguendo «una direzione sostanzialmente univoca, ma altrettanto sostanzialmente tracciata giorno per giorno, frutto non già di un piano e di una consapevolezza precisi, ma – al contrario – determinati da un successivo adeguamento e inserimento nella situazione in atto» (57).

    Non fu un "capo"

    Il tatticismo mussoliniano, aggiungeva il biografo nel 1966, era la conseguenza di un «miscuglio di personalismo, di scetticismo, di diffidenza, di sicurezza in se stesso e al tempo stesso di sfiducia nell'intrinseco valore di ogni atto e, quindi, nella possibilità di dare all'azione un significato morale, un valore che non fosse provvisorio, strumentale, tattico» ( 58 ), sicché Mussolini, anche dopo essere giunto al potere, rimase sostanzialmente un homme qui cherche, «l'uomo delle soluzioni "nei fatti" e a breve termine» e «non ebbe mai la tempra del realizzatore, non diciamo di una nuova società, ma neppure di un nuovo Stato» (59), perché «più che un grande politico creatore, Mussolini era stato un distruttore» (60). Di conseguenza, con «ferma convinzione», De Felice negava a Mussolini la qualità del «capo», perché «non aveva una idea precisa, che gli fosse meramente di sostegno e di guida nell'azione, degli obbiettivi finali alla realizzazione dei quali doveva tendere questa sua azione; mancandogli questa idea precisa, questa intima moralità, la "grandezza" e il "bene" dell'Italia finivano per ridursi all'esercizio del potere, inevitabilmente inteso come potere personale; sicché il proprio successo personale finiva necessariamente per diventare per lui il successo della nazione». E ancora nel 1974, pur riconoscendo ora a Mussolini, come abbiamo visto, una "sua" moralità (attribuendola però a una "svolta" nella personalità e nella politica mussoliniana avvenuta fra il 1927 e il 1928), De Felice confermava sostanzialmente il giudizio negativo: quando, valutando complessivamente l'attività mussoliniana nel periodo fra il 1929 e il 1936, scriveva:

    raramente è documentabile uno sforzo di elaborazione di una linea politica proiettata sui tempi lunghi e con finalità non meramente contingenti; che qualche raro caso in cui è evidente l'intenzione di giungere ad un'effettiva riforma non sotto lo stimolo di esigenze contingenti ma in funzione di un preciso obbiettivo politico risulta quasi sempre lasciato ad un certo momento cadere, senza che sia possibile coglierne appieno le ragioni; e che, infine, quasi tutte le iniziative politiche di qualche importanza appaiono prese quasi all'improvviso, senza un'adeguata preparazione, quasi frutto di decisioni repentine, spesso rese possibili da circostanze contingenti (61).

    Da qui, secondo De Felice, 9 continuo oscillare del duce fra un tatticismo realistico, tutto condizionato dalla logica del "durare", e un attivismo ambizioso e smanioso di "osare" vagheggiando la realizzazione di imprese grandiose ed epocali, che caratterizza il Mussolini defeliciano nel secondo decennio del regime fascista; un'oscillazione che il biografo riscontra soprattutto nella conduzione della politica estera e nel ruolo decisivo che questa venne progressivamente assumendo nell'attività mussoliniana, specialmente dopo il 1932.

    Non fu un «grande»

    De Felice riteneva che Mussolini era giunto al potere senza un vero e proprio programma di politica estera, e si era mosso all'inizio con cauto e spregiudicato realismo nello scacchiere europeo, cercando di sfruttare il «peso determinante» dell'Italia nel confronto fra le maggiori potenze europee, avendo però sempre di mira una futura espansione imperiale e l'affermazione dell'Italia come grande potenza, finché poté appagare la sua ambizione con la guerra d'Etiopia, che fu, secondo De Felice, «il capolavoro politico di Mussolini e il suo maggior successo»:

    perché egli credette in essa profondamente, come probabilmente in nessun'altra sua iniziativa politica. E vi credette non solo strumentalmente, in funzione del suo prestigio personale o, se si preferisce, della logica della sua visione dei rapporti internazionali e della politica estera italiana, ma intimamente, come qualche cosa che corrispondeva alla ragion d'essere della sua figura storica; sicché essa assunse per lui il valore di una missione che doveva far si che la Nazione (presente e futura) riconoscesse nella sua la propria vocazione, il proprio dovere assoluto, e si realizzasse quindi quella identificazione tra vox ducis e vox populi che sino allora il fascismo era stato incapace di realizzare veramente (62). Nello stesso tempo, però, De Felice affermava che la guerra d'Etiopia rappresentò anche l'inizio di un processo di «grave involuzione» (63) nella personalità del duce, per conseguenza del successo stesso, che accentuò progressivamente l'infatuazione di Mussolini per il proprio genio politico e per la propria infallibilità, dopo «il salto di qualità rappresentato dal passaggio dalla logica del "durare" a quella dell`osa¬re». Questo passaggio, osservava De Felice, era carico di una «drammatica potenzialità», che «in gran parte doveva sfuggire allo stesso Mussolini» e che, facendogli perdere la percezione della realtà, «nonostante le sue indubbie capacità politiche e il realismo del suo buon senso contadino – si trasformava inevitabilmente nella premessa della catastrofe», allorché l’homme qui cherche divenne prigioniero del proprio mito. Da tutte queste considerazioni sulla politica del duce e sugli effetti dell'esperienza fascista, giudicati ancor prima della catastrofe della guerra, De Felice giungeva nel 1981 a formulare un giudizio definitivo sulla figura storica di Mussolini; negandogli in modo inequivocabile la qualifica di grande:

    Anche se fu mosso da «grandi» ideali, anche se occupò un grande posto ed ebbe grandi responsabilità nelle vicende che portarono alla seconda guerra mondiale, Mussolini non fu un grande, neppure «un grande distruttore puro». Un uomo come lui, che conosceva benissimo e teorizzava ad ogni occasione cosa fosse un mito e come «vero» uomo politico se ne dovesse servire, per essere grande avrebbe dovuto innanzitutto non rimanere vittima proprio del mito. Qualcuno potrà dire che anche Hitler inseguiva un mito. È vero, m lo aveva sempre inseguito. Mussolini no. Per anni egli era stato realista, spesso terra terra. E in buona parte lo rimase anche quando restò vittima del mito (64).

    Nei volumi successivi della biografia, riguardanti gli anni dopo il 1940, questo giudizio ebbe più gravi conferme dalla ricostruzione defeliciana della politica di Mussolini. D guerra d'Etiopia alla seconda guerra mondiale e fino al crollo finale, la politica mussoliniana fu una sequela di errori compiuti da un uomo che viene descritto da De Felice come dotato, talvolta, di un «lucido realismo» ancorato al suo innato tatticismo, ma che si mostrava ogni giorno sempre più imprigionato dal groviglio delle proprie velleitarie ambizioni e dalla mole crescente dei risultati fallimentari che la sua politica produceva. Anche se possono apparire non del tutto convincenti le argomentazioni con le quali De Felice ha interpretato i moventi delle più importanti decisioni mussoliniane nella seconda metà degli anni trenta, come l'adozione della legislazione razzista e antisemita, l'alleanza con la Germania nazista, e infine l'entrata in guerra dell'Italia, il suo giudizio non concede al duce alcuna attenuante. Per esempio, a proposito delle leggi antisemite, dopo aver osservato che «le cause della persecuzione furono molte e cospiranti» e «molte furono le responsabilità individuali – di coloro che lavorarono per realizzarla e di coloro che vilmente la lasciarono realizzare pur disapprovandola», De Felice affermava decisamente che «la responsabilità maggiore però fu certamente di Mussolini, della sua incosciente megalomania di trasformare gli italiani e, con i tedeschi, di trasformare il mondo, in nome di principi e ideali che, pur non essendo quelli dei tedeschi e spesso contrapponendosi ad essi, erano la negazione di ogni principio e di ogni ideale» (65). Quanto all'entrata in guerra, pur dopo aver insistito sulle incertezze e le ambiguità del dittatore prima della decisione finale, nella valutazione conclusiva De Felice faceva proprio sia il giudizio della "pugnalata alla schiena" inferta a un paese già a terra, formulato dall'ambasciatore francese al momento della dichiarazione di guerra, sia il giudizio pronunciato da Winston Churchill alla fine del 1940, che faceva ricadere la responsabilità di aver condotto l'Italia in guerra interamente su Mussolini, «il criminale che ha tessuto questa gesta di follia e di vergogna» (66). De Felice confermava la validità di questi giudizi che «tutt'oggi sono alla base del giudizio storico-morale collettivo sull'intervento italiano»: un giudizio, aggiungeva, «che il tempo e gli storici possono modificare, ma non cancellare o ribaltare, ché, in ultima analisi, il fatto di aver trovato così vasta eco nella coscienza collettiva dei contemporanei sta a significare che al fondo di esso vi è qualcosa che va oltre le passioni e gli intenti polemico-propagandistici del momento, che ha una oggettiva validità, che può, appunto, essere precisato e corretto in una prospettiva più propriamente storica, ma non disatteso» (67).

    I guasti del regime

    Se nettamente negativo, dal punto di vista storico e dal punto di vista etico-politico, è il giudizio complessivo di De Felice su Mussolini, altrettanto nettamente negativo mi pare sia A giudizio complessivo sull'esperienza fascista così come emerge dall'opera defeliciana, quale che sia poi la valutazione critica che di essa può essere data, dal punto di vista storiografico, e il dissenso nei confronti del giudizio che egli ha dato su aspetti, momenti, episodi e figure del fascismo, o anche nei confronti dell'interpretazione di problemi più ampi. E non mi pare che tale giudizio negativo sia contraddetto o attenuato allorché De Felice afferma, per esempio, che il regime ebbe, per un certo periodo, il consenso della maggioranza degli italiani o ebbe aspetti ed effetti modernizzatori sulla trasformazione della società e dello Stato italiano. Le due affermazioni infatti sono constatazioni piuttosto che giudizi etico-politici, e non contengono di per sé un'intonazione apologetica. Maggiore importanza invece hanno, per il giudizio etico-politico, le riflessioni di De Felice sul significato dell'esperienza fascista nella storia degli italiani, sul «guasto morale» prodotto nella società italiana dalla dittatura fascista: «la smoralizzazione della vita»; «una sempre più marcata ed effettiva spoliticizzazione della società» sotto «la parvenza di una estrema politicizzazione di massa»; un'«altrettanto marcata parcellizzazione e dispersione delle forze sociali (e dunque della loro potenzialità di agire politicamente entro il regime) in tante realtà particolari ognuna chiusa in se stessa» ( 68 ). Del resto, neppure l'analisi del consenso al fascismo proposta da De Felice consente di trarne elementi per accusarlo di apologia del regime. Lo storico precisa, infatti, che l'area del «consenso attivo» era limitata nell'ambito delle principali organizzazioni del regime, mentre per la maggior parte degli italiani il consenso fu «largamente superficiale, passivo», e non si trasformò mai, neppure quando si estese nei momenti di maggior successo per il regime, in «consenso attivo», il quale «per essere veramente tale, ha bisogno di partecipazione politica, di effettivo spirito critico, di vera informazione. Tutte cose che a questo consenso — nonostante il mito del "duce" — mancavano o erano surrogate dal mero inquadramento nel PNF c/o nelle organizzazioni di massa fasciste e della partecipazione — talvolta spontanea e sentita, ma spesso solo dovuta — alle manifestazioni, alle iniziative del regime» (69). Questi «guasti morali» ebbero effetti immediati durante la seconda guerra mondiale, che fece precipitare la crisi interna del regime:

    già dopo i primi mesi di guerra, il regime fascista [...] mostrò, proprio in quanto regime, me, gravi segni di scollamento, di degenerazione e di sclerosi che — pur attraverso accelerate e frenate connesse all'andamento delle vicende belliche — andarono via via aumentando e influenzando tutto il clima del paese e il suo atteggiamento verso il regime stesso, sicché si può dire che questo al momento della crisi finale esisteva ormai quasi solo nominalmente e che lo sbarco alleato in Sicilia fu molto più l'occasione che la causa del crollo (70).

    Anche se talvolta lo sforzo fatto da De Felice per capire fino in fondo le motivazioni, la psicologia e i comportamenti di Mussolini, specialmente negli anni della seconda guerra mondiale, sembra rendere la sua valutazione meno severa che nei degli confronti degli altri esponenti principali regime, dello Stato e delle Forze armate, nel complesso la figura del duce, così come emerge dalla ricostruzione defelicíana, neanche in quest'ultima fase mi pare presenti toni apologetici. Né penso che si possa riscontrare un tono siffatto nella tesi defelícíana, secondo la quale la decisione di Mussolini, ormai ridotto a cadavere politico dopo il 25 luglio 1943, di assumere la guida di un nuovo Stato fascista, come Hitler gli imponeva, sarebbe stata dettata principalmente da sentimento patriottico per sottrarre l'Italia alla minacciata vendetta del Fúhrer. Il movente patriottico, infatti, non viene addotto dal biografo per attenuare la gravità delle conseguenze che la nascita della Repubblica sociale produsse:

    Posta la questione sul piano dei costi e delle conseguenze — scrive De Felice nell'ultimo volume della biografia —, è fuor di dubbi che storicamente la bilancia si squilibri irrimediabilmente a tutto svantaggio della decisione mussoliniana. La costituzione della Rsi fu infatti all'origine della guerra civile [...] che, nel 1943 -45, insanguinò le regioni occupate dai tedeschi, divise profondamente gli italiani scavò solchi d'odio tra loro e condizionò poi massicciamente per decenni la vita italiana, dandole un carattere diverso da quello di altri paesi occidentali, quali la Francia, o Belgio e, in qualche misura, la stessa Germania (71).

    In conclusione, non mi pare che la valutazione storica di; Mussolini e del fascismo espressa dall'opera di De Felice possa configurarsi come apologetica, a meno di non sovvertire radicalmente il significato di questa parola. Anche se, come tutte le valutazioni storiche, essa può essere discussa, criticata e respinta, in tutto o in parte, con documenti nuovi e, con argomenti che si dimostrino razionalmente e storicamente più convincenti, mi pare che dalla sua biografia mussoliniana risulti confermato ciò che De Felice aveva detto nel 1975, rispondendo a quanti lo accusavano di voler riabilitare Mussolini:

    Io sono convinto invece che se da tutta la mia opera un personaggio esce intimamente criticato a fondo e per molti aspetti distrutto, quello è Mussolini. Distrutto al di là della sua capacità tattica, della sua capacità politica — che credo nessuno in buona fede gli possa contestare [...] La mia è la critica dall'interno più profonda di Mussolini, al di là delle frasi roboanti, delle accuse vere e qualche volta false che gli sono state mosse, per distruggerlo sommariamente, ma che non distruggono niente. Io credo che questo sia il lavoro concreto da fare: i fatti sono assai più eloquenti e persuasivi delle filippiche di certo antifascismo da comizio e di tante schematizzazioni che fanno acqua da tutte le parti (72).

    NOTE

    56R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, Torino 1965, p. XXIII
    57 M, p. 460.
    58 Id., Mussolini il fascista. La conquista del potere 1921-1925, Torino 1966, p. 472.
    59 Ivi, p. 537.
    60 Ivi, pp. 462-65.
    61 Id., Mussolini il duce. Gli anni del consenso 1929-1936, Torino 1974, pp. 23-24.
    62 Ivi, p. 642.
    63 Id., Mussolini il duce. Lo Stato totalitario 1936-1940, Torino 1981, p. 301.
    64 Ivi, p. 330.
    65 R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo,Torino 1961, p. 254.
    66 Id., Mussolini il duce. Lo Stato totalitario, cit., pp. 843-44.
    67 Ivi, pp. 842-43.
    68 Ivi, pp. 219-21.
    69Ivi, pp. 215-17.
    70 Id., Mussolini l'alleato. L'Italia in guerra 1940-1943. Crisi e agonia del regime, Torino 1990, p. 972.
    71 Id., Mussolini l'alleato. La guerra civile 1943-1945, Torino 1997, p. 69.
    72 Id., Intervista sul fascismo, a cura di M.A. Ledeen, Roma-Bari 1975, p.

    In realtà tutto questo (un resoconto di fatti ammirevole del quale non condivido appieno le conclusioni) non vedo come possa darmi torto.
    Ne esce un de felice che considera mussolini un uomo morale, mosso da grandi ideali, un ottimo politico. Ed il fascismo un movimento che ha modernizzato l'italia.
    Il resto è assolutamente ovvio ed innegabile (solo un covista può sostenere che benito fosse un grande), e non vedo come potesse sostenere il contrario senza rendersi ridicolo (come un covista).
    Ebbene la definizione in grassetto sarebbe già abbastanza per rendere filofascista de felice (checchè ne dica gentile), perchè era espressa in un periodo in cui il veleno revisionista ancora non aveva attecchito, e ci voleva grande convinzione per affermare tali pregi del fascismo.
    Ma sopratutto il più grande problema di de felice è questo: "La mia è la critica dall'interno più profonda di Mussolini".
    Purtroppo oggi vediamo come, se anche ci credeva, questo sia del tutto sbagliato. Tutta la sua opera non ha fatto altro che nutrire un esercito di revisionisti che buttano al cesso le sue critiche (peraltro moderate) al fascismo e strumentalizzano le sue (tuttaltro che imparziali) lodi a questo per fare propaganda fascista.
    Sia chiaro comunque che io non ho mai detto che de felice dipinge mussolini come un gigante ed il fascismo come il meglio del meglio. Dico che è di parte verso il fascismo, e questo è dimostrato dalla sua continua opera di assoluzione del fascismo dalle sue colpe, opera che ben poco può essere contrastata da qualche nota pro forma nelle introduzioni o negli epiloghi dei suoi libri.

    In generale comunque è bello notare come i covisti e gracco in primis facciano abbondantemente uso di de felice per fare la propria vulgata ma non si curino minimamente delle sue critiche a mussolini (che a loro parere lo "distruggono").
    In pratica le cose sono due: o de felice non distrugge affatto mussolini, e quindi i covisti possono utilizzare de felice come tuttologo senza paura, oppure de felice lo distrugge ed i covisti tralasciano completamente questa parte declassandola a vulgata antifascista :asd:
    Ora, essendo improbabile che tutto quello che de felice ha detto a favore del fascismo sia vero e tutto quello che ha detto contro sia falso, non si capisce come possa essere questa una definizione sostenibile logicamente.
     
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  10. caius romano
     
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    come politici stimo molto :Benito Mussolini sia per le sue politiche riformistiche e bonificatrici(agro pontino)sia per la democrazia organica e le corporazioni(tutt'ora attuabili)e l'ultimo Giorgio Almirante:coerente sempre con l'idea..
     
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  11. Tiberio Sempronio Gracco
     
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    CITAZIONE (caius romano @ 10/3/2011, 22:45) 
    come politici stimo molto :Benito Mussolini sia per le sue politiche riformistiche e bonificatrici(agro pontino)sia per la democrazia organica e le corporazioni(tutt'ora attuabili)e l'ultimo Giorgio Almirante:coerente sempre con l'idea..

    Giorgio Almirante, lungi dall'essere coerente con l'idea fascista, ha fatto dell'MSI un partito di destra! Il che significa antifascista!
     
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  12. Catiligola
     
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    Il più furbo: Berlusconi!
     
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176 replies since 19/12/2010, 23:15   1915 views
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