Libia italiana

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  1. Vidkun Quisling
     
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    La Libia italiana fu una colonia del Regno d'Italia nell'Africa settentrionale, durata dal 1912 al 1947 e, ufficialmente come colonia unica, dal 1934 al 1939.

    Il primo ministro italiano Giovanni Giolitti, iniziò la conquista della Tripolitania e della Cirenaica il 4 ottobre 1911, inviando a Tripoli contro l'Impero Ottomano 1732 marinai al comando del capitano Umberto Cagni.
    Oltre 100.000 soldati italiani riuscirono ad ottenere dalla Turchia quelle regioni attualmente definibili libiche nel Trattato di Losanna del 18 ottobre 1912, ma solo la Tripolitania fu effettivamente controllata dal Regio esercito italiano sotto la ferrea guida del governatore Giovanni Ameglio.
    Nell'interno dell'attuale Libia (principalmente nel Fezzan) la guerriglia indigena continuò per anni, ad opera dei turchi e degli arabi di Enver Pascià e di Aziz Bey.
    L'ascesa al potere del Fascismo determinò un inasprirsi della politica italiana nei confronti dei ribelli libici. Infatti dal 1921 al 1925 il Governatore della Tripolitania, Giuseppe Volpi, diede il via a nuove campagne militari e conquistò Misurata, la Gefara, il Gebel Nefusa e Garian. A stroncare in Cirenaica la dura resistenza dei Senussi provvidero i generali Bongiovanni e Mombelli. Poi furono Emilio De Bono in Tripolitania ed Attilio Teruzzi in Cirenaica ad ampliare il territorio sotto controllo italiano.
    Il governatore Pietro Badoglio tra il 1930 ed il 1931 occupò tutto il Fezzan e l'oasi di Cufra, grazie al generale Rodolfo Graziani, che era riuscito ad ottenere l'apporto della cavalleria indigena e dei meharisti integrati nelle "colonne mobili".
    La situazione, nel 1930, era quindi volta a favore degli italiani. La lotta proseguiva solo in Cirenaica, dove resisteva ancora il capo senussita della guerriglia, Omar al-Mukhtar. Dotato di un'eccellente visione strategica, con il sostegno delle popolazioni locali, ostili all'espansione italiana nelle regioni interne della Libia, costui impediva agli italiani di riprendere il controllo della provincia. Grazie a una perfetta conoscenza dell'impervio territorio, pur disponendo solo di un modesto drappello di uomini (che non superò mai le 3000 unità) scatenò una spietata guerra per bande contro le truppe italiane, infliggendo loro pesanti perdite.
    Su ordine di Graziani, le forze italiane per sradicare la guerriglia dei senussiti in Cirenaica ricorsero a metodi di rappresaglia spietati contro la popolazione locale accusata di appoggiare il ribellismo. La confraternita senussita, che appoggiava la guerriglia, fu privata dei suoi beni e sottoposta a una dura repressione (più di trenta capi religiosi vennero deportati in Italia e le zavie, centri politici ed economici dell'ordine, vennero confiscate). Inoltre per impedire i rifornimenti dall’Egitto, il generale fece innalzare una lunga barriera di filo spinato lunga 270 chilometri, dal porto di Bardîyah (Bardia) all'oasi di al-Giagbūûb (Giarabub), presidiata costantemente dalle truppe italiane.
    Infine furono deportate più della metà della popolazione della provincia, circa 100.000 persone, in tredici campi di concentramento allestiti nel Bengasino e nella Sirtica. Lo sgombero dell'altopiano cirenaico iniziò nel giugno 1930 e si protrasse per diversi mesi. Circa 10.000 persone persero la vita per le epidemie provocate dalle fatiche della lunga ed estenuante marcia (a volte lunga più di 1000 chilometri), ma in piccola parte anche per le violenze e per le durissime condizioni cui vennero sottoposte nei campi di concentramento italiani. Le truppe italiane nel corso di queste operazioni distrussero molti centri abitati sgomberati, insieme alle coltivazioni e al bestiame che ospitavano, e compirono varie esecuzioni sommarie di rappresaglia quando assalite.
    Per avere la superiorità numerica e tecnologica nei confronti dei guerriglieri, l'esercito italiano creò dei reparti mobili composti da effettivi italiani e di colore reclutati nelle colonie africane. Questi ultimi erano perlopiù provenienti da Eritrea e Somalia, di religione cristiana e ferocemente avversi ai musulmani. Ma non mancavano collaborazionisti libici che ingrossavano le file dei reparti coloniali, considerati dai comandi italiani come poco affidabili (perciò erano discriminati e talora sottoposti a duri trattamenti). Le truppe italiane inoltre, per la prima volta in una guerra coloniale, per affrontare e decimare guerriglieri e civili loro collegati, ricorsero ad alcuni aerei ed autoblindo.
    Ormai privo di ogni sostegno e sconfitto, Omar al-Mukhtar vide disperdersi i guerriglieri e fu ferito e catturato l'11 settembre 1931 durante la Battaglia di Uadi Bu Taga in uno scontro a fuoco con collaborazionisti libici, che per poco non lo fucilarono. Fu trasferito via mare a Bengasi, dove subì una parvenza di processo ed ebbe un breve colloquio con Graziani. Il 16 settembre venne impiccato in catene nel campo di concentramento di Soluch, davanti a 20.000 libici fatti affluire dai vicini lager. La morte di Omar Al-Mukhtar segnò la fine della resistenza libica e la riunificazione delle tre province sotto il comando italiano.

    La morte del capo della guerriglia libica Omar al-Mukhtar, nel settembre 1931, comportò la totale pacificazione delle regioni che, solo con l'unione fra Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, si sarebbero chiamate Libia. La conquista italiana costò alla Libia pesanti perdite umane e materiali, causando decine di migliaia di morti e sconvolgendo l’arretrata organizzazione sociale ed economica tradizionale.
    L'esercito italiano riportò nel corso delle molte operazioni per la conquista della Libia perdite relativamente lievi in confronto a quelle inflitte ai libici: il totale dei militari italiani morti in Libia tra il 1911 e il 1939 è di 8898 persone (nella guerra del 1911-1912 ne morirono 1432).
    Al principio degli anni trenta, Mussolini ordinò l'inizio di una vasta immigrazione di coloni italiani nelle aree coltivabili della colonia e cercò l'integrazione della locale popolazione araba e berbera, costituendo anche truppe coloniali.

    La repressione attuata da Graziani fu talmente completa che pochi anni dopo, nel corso delle varie campagne militari tra Alleati ed Asse nel nord Africa tra il 1940 ed il 1942, lo stesso Churchill nelle sue memorie si lamentò di non avere avuto alcun supporto da arabi e berberi libici. Furono invece oltre 30.000 gli ascari libici che, tra le truppe coloniali italiane, si distinsero nella seconda guerra mondiale: due divisioni libiche (oltre ad altri reparti, come i "Paracadutisti libici") parteciparono nell' attacco italiano all'Egitto nel settembre 1940.

    Nel 1934 venne proclamato il Governatorato Generale della Libia (coll'unione della Tripolitania e della Cirenaica) e successivamente i cittadini africani potettero godere dello status di "cittadini italiani libici" con tutti i diritti che ne conseguirono. Mussolini dopo il 1934 iniziò una politica favorevole agli Arabi libici, chiamandoli "Musulmani Italiani della Quarta Sponda d'Italia" e costruendo villaggi (con moschee, scuole ed ospedali) ad essi destinati.
    Il primo governatore fu Italo Balbo, a cui si deve la creazione della Libia attuale sul modello di quella dell'imperatore romano Settimio Severo (nato in Libia). Balbo divise nel 1937 la Libia italiana in quattro province (nel 1939 annesse al Regno d'Italia) ed un territorio sahariano:
    Provincia di Tripoli, capoluogo Tripoli.
    Provincia di Bengasi, capoluogo Bengasi.
    Provincia di Derna, capoluogo Derna.
    Provincia di Misurata, capoluogo Misurata.
    Territorio Militare del Sud, capoluogo Hun (sede di un comando militare che aveva il compito di governare il Sahara libico).

    Il Regno d'Italia dopo la prima guerra mondiale avviò una colonizzazione che ebbe il culmine, sotto l'impulso di Mussolini, soprattutto verso la metà degli anni trenta con un afflusso di coloni provenienti in particolare da Veneto, Sicilia, Calabria e Basilicata. Nel 1939 gli italiani erano il 13% della popolazione, concentrati nella costa intorno a Tripoli e Bengasi (dove erano rispettivamente il 37% ed il 31% della popolazione).
    Con gli Italiani si ebbe un incremento del cattolicesimo in Libia, grazie anche alla creazione di numerose chiese e missioni. Al Vicariato apostolico di Tripoli del vescovo Camillo Vittorino Facchinetti nel 1940 era assegnato circa un quarto del totale della popolazione della Libia italiana (includendo i coloni italiani).

    In Libia gli italiani costruirono in circa trent'anni (1912-1940) infrastrutture degne di nota (strade, ponti, ferrovie, ospedali, porti, edifici, e altro ancora) e l'economia libica ne ricevette benefici effetti. Numerosi contadini italiani resero coltivabili terreni semidesertici, specie nell'area di Cirene.
    Anche l'archeologia fiorì: città romane scomparse (come Leptis Magna e Sabratha) furono riscoperte ed indicate come simbolo del diritto italiano a possedere la Libia già romana. Negli anni trenta la Libia italiana arrivò ad essere considerata la nuova "America" per l'emigrazione italiana.

    Nel 1938 il governatore Italo Balbo portò 20.000 coloni italiani in Libia e fondò per loro ventisei nuovi villaggi, principalmente in Cirenaica. Inoltre cercò di assimilare i musulmani libici con una politica amichevole, fondando nel 1939 dieci villaggi per gli Arabi e i Berberi libici: "El Fager" (al-Fajr, "Alba"), "Nahima" (Deliziosa), "Azizia" (‘Aziziyya, "Meravigliosa"), "Nahiba" (Risorta), "Mansura" (Vittoriosa), "Chadra" (khadra, "Verde"), "Zahara" (Zahra, "Fiorita"), "Gedida" (Jadida, "Nuova"), "Mamhura" (Fiorente), "El Beida" (al-Bayda', "La Bianca").
    Tutti questi villaggi avevano la loro moschea, scuola, centro sociale (con ginnasio e cinema) ed un piccolo ospedale, rappresentando una novità assoluta per il mondo arabo del Nord Africa.

    Anche il Turismo venne curato con la istituzione dell'ETAL, Ente turistico alberghiero della Libia, il quale gestiva alberghi, linee di autobus di gran turismo, spettacoli teatrali e musicali nel teatro romano di Sabratha, il Gran Premio automobilistico della Mellaha (detto internazionalmente "Tripoli Grand Prix" e disputato dal 1925 al 1940), una località entro le oasi tripoline ed altre iniziative.
    All'inizio della seconda guerra mondiale vi erano circa 120.000 Italiani in Libia, ma Balbo aveva in progetto di raggiungere il mezzo milione di coloni italiani negli anni sessanta. Del resto Tripoli aveva già nel 1939 una popolazione di 111.124 abitanti, dei quali 41.304 (37%) erano italiani. Italo Balbo nel 1940 aveva costruito 400 km di nuove ferrovie e 4.000 km di nuove strade (la più nota era la Via Balbia col suo nome, che andava lungo la costa da Tripoli a Tobruk).
    A partire dal 1937, il governo italiano aveva avviato un processo di integrazione completa della Libia nel Regno: la Libia si avviava infatti a trasformarsi da colonia a regione geografica italiana parificata alle altre. Questo processo iniziò con la proclamazione delle 4 province di Tripoli (TL), Bengasi (BE), Misurata (MU), Derna (DE). La parte meridionale della Libia (territorio del deserto, con capoluoghi Murzuch e El Giof) fu invece organizzato come distretto autonomo gestito direttamente dal Governo centrale. Anche la cittadinanza fu parzialmente equiparata a quella delle Province europee del Regno.
    Il 9 di gennaio del 1939 la colonia della Libia fu incorporata nel territorio metropolitano del Regno d'Italia e conseguentemente considerata parte della Grande Italia, col nome di Quarta Sponda e tutti i loro abitanti ottennero la cittadinanza italiana.

    Nel Trattato di Pace del 1947 l'Italia ha dovuto rinunciare a tutte le sue colonie, compresa la Libia. Vi fu comunque nel 1946 un vano tentativo di mantenere la Tripolitania come colonia italiana (assegnando la Cirenaica alla Gran Bretagna ed il Fezzan alla Francia).
    Per gli Italiani della Libia iniziò nel secondo dopoguerra un difficile periodo, contrassegnato dalla loro emigrazione. Anche la Libia italiana fu ridimensionata, perdendo la nuova Libia indipendente la Striscia di Aozou (ottenuta da Mussolini nel 1935 e ridata alla colonia francese del Ciad).
    Nel 1962 gli Italiani in Libia erano ancora circa 35.000. Ma dopo il colpo di stato del colonnello Gheddafi del 1969, circa 20.000 italiani furono costretti a cedere improvvisamente i propri beni e le proprie attività economiche il 7 ottobre 1970 (ancora oggi le varie associazioni di profughi e rimpatriati si battono per ottenere un risarcimento dallo Stato italiano). Furono assunte anche iniziative di carattere emblematico, come lo smantellamento dell'arco dei Fileni (1973), che Gheddafi riteneva un simbolo del periodo coloniale.
    Dopo la nazionalizzazione delle imprese italiane, rimase in Libia solo un ristretto numero di italiani. Nel 1986, dopo la crisi politica tra Stati Uniti e Libia, il numero degli italiani si ridusse ancora di più, raggiungendo il minimo storico di 1.500 persone, cioè meno dello 0,1% della popolazione. Negli ultimi anni, dopo il riavvicinamento tra l'Occidente e la Libia e la fine dell'embargo economico, alcuni italiani del'epoca coloniale sono ritornati in Libia. Attualmente sono solo alcune decine di vecchi pensionati che sono dovuti comunque fuggire dal paese dopo il febbraio 2011 insieme agli ultimi 1500 italiani residenti nel territorio libico.
     
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