Roma, il primo giorno.

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  1. Marco Giuliano Leone
     
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    12esimo giorno prima delle Calende di Ottobre.
    Il vento che muove le foglie, è solo una brezza lieve. Fresca di mattina. Il Sole sta per colorare di nuovo i tronchi dei pini, regalerà energia ai fusti delle piante. Tutto il bosco è in silenzio, l'aria solenne, come se la natura, gli alberi, gli animali che abitano quel luogo, avessero capito che quel giorno un Dio avrebbe visto, da uomo, la luce del mondo.
    La ragazza che mesi prima aveva giaciuto inerme, per tutta la notte, sulla terra gelida di quel bosco sacro ai piedi di Alba Longa, viene trascinata sulle rive del fiume Aniene.
    E' la figlia del re Numitore, una sacerdotessa vestale, condannata a morte per aver infranto il voto di castità che la legge impone alle vestali.
    Rea Silvia potrebbe parlare, difendersi dalle accuse ma sa che nessuno potrebbe mai crederle. Ricorda le braccia possenti di un Dio della guerra che la tengono a terra, il fuoco, la passione improvvisa. Non ha rimpianti, nè lacrime da offrire. E' la condanna della bellezza subire la prepotenza degli Dèi, ma Rea Silvia lo sa, la fede nella volontà dei Numina Patres, gli Dèi Padri è la scintilla che accende il cuore di ogni latino. Guarda quella ragazza come lei, sua serva, costretta ad osservare questa fine di un'anima pura, gli sorride, poi giù, il fiume l'abbraccia.
    Quella serva ha avuto l'ordine di uccidere il frutto di quella notte proibita, i figli di Rea Silvia. Lei ha scelto di morire per salvare loro, muore per amore.
    Forse in cuor suo, la serva sa che quei pargoli meritano di vivere. Lo ha promesso alla sua padrona. Lei gli ha sorriso prima di morire. Li guarda negli occhi, piange pensando a Rea Silvia, ma non immagina nemmeno il futuro della Storia che verrà.
    Romolo e Remo, dai nomi di due grandi condottieri rutuli, vengono adagiati in una piccola cesta e affidati al destino delle acque del vecchio fiume Albula, che gli Etruschi chiamano Tevere. Per giorni i pargoli navigano inconsapevoli e affamati in sella a quel cestino, finchè la corrente li adagia di nuovo su una sponda del fiume, ai piedi di un albero di fico. E' allora che una Lupa, scesa dai monti per abbeverarsi, ascolta i vagiti dei due gemelli. Il grande mammifero, aggressivo e selvatico, si impietosisce alla vista dei neonati inermi e decide di allattarli, salvandogli la vita. Poco dopo, la lupa è costretta a scappare: ha sentito dei passi d'uomo venire dal bosco.
    Sono il pastore di nome Faustolo e sua moglie Acca Larentia. Larentia non crede ai suoi occhi, gli Dèi hanno ascoltato le sue preghiere ed hanno esaudito il suo desiderio di essere madre. Crescerà Romolo e Remo come suoi figli.
    Alcune interpretazioni identificano proprio Acca Larentia, madre adottiva dei gemelli, con la lupa, in riferimento al suo mestiere di prostituta (da cui, "lupanare", luogo dove si svolge la prostituzione). Ella li amerà con tutta se stessa.
    Conosciuta la verità sulle loro origini, cresciuti sani, belli e forti, Romolo e Remo ottengono dal nonno Numitore il permesso di fondare una nuova città, lì dove essi la coppia di pastori li ha allevati trasformandoli in uomini, sulle rive del Tevere.
    I gemelli radunano intorno a loro moltitudini di uomini pronti a seguirli nel sogno di una nuova vita. Latini, Sabini, Etruschi, Arcadi. Il progetto di Remo è quello di fondare la nuova città sul colle Aventino, e chiamarla Remora. Romolo al contrario, è convinto che il luogo ideale per l'edificazione sia il colle Palatino, e il nome, Roma.

    Nessuno al mondo avrebbe mai potuto scegliere chi tra i due fosse più valoroso o più degno di fondare e guidare una città. Così furono gli Dèi a scegliere. Romolo e Remo, dalle alture lontane sui cui scorgevano il volo degli uccelli per presagirne il volere divino, ebbero la stessa precognizione: entrambi innalzarono delle mura.
    Remo, il più vivace tra i due, schernì il fratello scavalcando le mura appena erette. Romolo, colmo d'ira lo uccise.

    Romolo governò Roma per 40 anni.
    In onore di suo padre, il dio Marte, ogni nuovo anno iniziava con il mese che celebrava il suo nome.
    In onore di sua madre adottiva, Acca Larentia, la statua della donna venne posizionata tra il Foro Romano e il Palatino, celebrata da tutti i Romani come la Dea incarnazione dello Stato che accoglie e accudisce ogni uomo.
    In un giorno di tempesta, Romolo salì al cielo e assunse le sembianze del Dio Quirino.


    Roma nacque dal frutto di un amore proibito, che infranse le leggi; macchiata dal sangue del sacrificio e del fraticidio; fondata da figli di una prostituta.
    Si sappia che questo è ciò che hanno voluto gli Dèi, ciò che i Padri hanno scelto per noi che ci dichiariamo eredi di coloro che edificarono l'Urbe.
    Roma è amore e odio, è guerra e fratellanza, è bellezza ma anche dolore, è forza e ribellione. Per questo ogni 20 settembre noi Romani celebriamo la nascita di Romolo, nostro padre, di Remo suo fratello di sangue, e onoriamo la memoria di nostra madre Acca Larentia, Dea di Roma.


    Pontifex Maximus
    Marcus Iulianus Leo


    Edited by Marco Giuliano Leone - 20/9/2012, 16:57
     
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